“Cuffaro tutta un’altra storia”: ne parla Nello Musumeci

«Non tocca a me entrare a gamba tesa in una vicenda processuale complessa che è giunta anche all’epilogo della esecuzione della pena. Il dovere di chi è impegnato in politica è affermare il valore della legalità sempre e comunque, lontano da ogni zona grigia».

Mantiene sempre una certa distanza istituzionale, Nello Musumeci – il noto politico catanese, storico esponente de La Destra, già presidente della provincia etnea ed europarlamentare. Lo incontriamo in qualità di Presidente della Commissione regionale Antimafia per commentare insieme alcune anticipazioni tratte da “CUFFARO TUTTA UN’ALTRA STORIA – la verità sul processo al presidente dei siciliani” il nuovo libro incentrato sulla vicenda giudiziaria dell’ex governatore, in uscita per Bonfirraro il prossimo 10 dicembre, alla vigilia della sua scarcerazione, a firma del giornalista romano Simone Nastasi.

Secondo l’autore, infatti, nonostante il processo si sia concluso con una sentenza definitiva in Cassazione, molti potrebbero essere ancora gli interrogativi che affiorerebbero dalla lettura degli atti dibattimentali che hanno riguardato «il primo condannato della storia politica italiana a scontare in carcere una pena così lunga». Il 22 gennaio del 2011 i giudici lo condanneranno a sette anni per rivelazione di segreto istruttorio con l’aggravante di favoreggiamento mafioso. «Un’accusa – scrive Nastasi – che Cuffaro ancora oggi continua a non voler accettare, perché ripete ‘la mafia fa schifo’ e ‘la mafia, l’ho sempre combattuta’. Anche nel suo caso, valga allora la domanda: la verità giudiziaria e quella storica, possono coincidere? I fatti sono andati veramente in questo modo?».

Musumeci e Totò Cuffaro si conoscono politicamente da sempre: quasi coetanei, due diversi schieramenti, il primo comincia la sua carriera nelle file della “Giovane Italia”, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, mentre il secondo aderisce subito alla Democrazia Cristiana.

Le elezioni regionali del 2006, durante le quali i due, entrambi candidati alla presidenza insieme a Rita Borsellino dell’ala di centro- sinistra, si sono rivaleggiati (le vinse, manco a dirlo, Cuffaro, con oltre un milione di voti), sono soltanto uno dei molti bracci di ferro politici che li hanno contrapposti faccia a faccia. Ma proprio in quella occasione venne fuori – come ha scritto allora il quotidiano La Sicilia – il richiamo di Musumeci sulla “inopportunità politica di candidare Cuffaro, sotto processo per favoreggiamento aggravato alla mafia”.

Gli spieghiamo che il libro muove dalla lettura di molti atti, da cui via via l’autore fa emergere alcuni interrogativi. E Musumeci non si sottrae alle nostre domande:

Nel libro Nastasi scrive che “Nei 30 anni della sua carriera Totò Cuffaro è stato semplicemente una macchina da voti: nel 1999 […] le preferenze ottenute furono quasi 90 mila; due anni dopo nel 2001, quando si candidò per la prima volta alla presidenza della Regione siciliana […] i voti che ottenne furono addirittura un milione e seicentomila. Nel 2006, la quota del milione venne di nuovo superata […]”. C’era anche lei candidato alla presidenza della Regione nel 2006, insieme a Totò Cuffaro e a Rita Borsellino. Cosa successe dopo quella sconfitta?

«Anche io sono stato candidato alle elezioni europee e di voti ne presi 116 mila. Ho governato con impegno, senza conoscere un solo atto sequestrato. Alle elezioni regionali del 2006 non potevo sostenere Cuffaro. Era indagato per fatti di mafia e il presidente di una Regione come la Sicilia non può permetterselo. Ne parlai personalmente con lo stesso in più occasioni, senza nascondermi dietro un dito. Gli ricordai l’esempio di Ciccio Musotto: da indagato decise di “saltare un giro” e dimettersi. Quel gesto fu importante anche per l’assoluzione. Penso abbia sbagliato Cuffaro a riproporsi nel 2006. Chissà, forse oggi la pensa così anche lui».

In riferimento alla condizione di carcerato, Nastasi mette in evidenza che: “oggi Cuffaro è detenuto in carcere con l’accusa di avere favorito la mafia. Vive la sua condizione di recluso insieme agli altri detenuti. La condivide con loro. E vuole sentirsi uno di loro. Ha imparato a conoscerli da vicino, apprezzando le doti di ognuno. Soprattutto le doti umane, perché il carcere è prima di tutto un luogo di profonda umanità”. Cosa può dirci in merito?

«Tutti dovrebbero riconoscergli grandissima dignità e uno spirito di cristiana accettazione della pena, comune a pochissimi. In questi anni Cuffaro ha dimostrato di accettare il peso della sentenza ed è riuscito a rigenerarsi in questa sua difficilissima esperienza. Dargliene atto è un gesto che dovrebbero compiere tutti. Anche i giudici che lo hanno condannato».

Nel 2012 lei ha dichiarato: “Temo di essere un uomo scomodo: non ho sostenuto né Cuffaro né Lombardo, non ho mai fatto parte del parlamento siciliano e non ho mai cambiato casacca”. Qual è la sua distanza, da politico e da Presidente della Commissione regionale Antimafia, da entrambi già presidenti della Regione Siciliana?

«Ho citato due episodi, le regionali del 2006 e quelle del 2008, che mi hanno visto compiere scelte di coerenza. La coerenza, in questa martoriata terra di Sicilia, è comune a non tantissimi uomini politici, ma sarebbe un errore pensare che essa sia monopolio di una area specifica. Sono orgoglioso di essere stato eletto presidente della Commissione Antimafia con voto unanime: dal Pd al M5S. Vivo questo mio impegno con passione civile. Penso spesso ai giovani, ai ragazzi che vivono il disagio di questo tempo: è a loro che dobbiamo consegnare una Sicilia migliore».

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