ACI S.ANTONIO – «E’ una strage che non ha ancora spiegazioni»

All’indomani della strage familiare di Aci Sant’Antonio, ci si interroga ancora sul movente. Ma la risposta non c’è. Luigi Gagliardo, 38enne originario di Racalmuto (Agrigento) ha massacrato in casa gli anziani genitori, infierendo su di loro con un coltello e un martello, e poi si è suicidato portandosi alla bocca un tubo di gomma collegato alla bombola del gas da cucina e infilandosi in testa in un sacco di plastica. Cosa ha fatto scattare la molla della follia? Difficile anche ipotizzarlo. Il motivo forse resterà un mistero che le tre vittime di questa tragedia hanno portato con sé nella tomba. La ricostruzione dei fatti però, classificati come omicidio-sucidio, dovrà però essere confermata dai risultati delle autopsie e delle analisi di polizia scientifica fatte sul luogo del delitto.
Una famiglia davvero divisa in due, quella dei Gagliardo; dei cinque figli maschi concepiti da Antonio Gagliardo (ex minatore) e Rosa Amore(casalinga), solo due hanno scelto la legalità arruolandosi nell’arma dei Carabinieri, mentre gli altri tre hanno militato nelle fila della mafia agrigentina, capeggiata, all’epoca, dal boss, oggi pentito, Maurizio Di Gati.
Luigi Gagliardo, nel suo recente passato aveva subito due condanne per mafia (processi «Ombra» e «Domino 2») in cui emergeva un ruolo funzionale alle cosche; suo fratello maggiore, Salvatore Gagliardo, invece fu assassinato nel 1991 insieme ad altre tre persone nella prima strage di mafia di Racalmuto; l’altro fratello, Ignazio Gagliardo, che invece nella cosca Di Gati ha avuto in passato un ruolo di maggiore spicco, si è invece pentito nel 2006; anzi a tal proposito si è detto che si è pentito per amore, dato che fu costretto a ritornare in Italia dal Sud Africa, dove viveva da latitante, perché sua moglie si era ammalata di leucemia ed aveva urgente bisogno di rimpatriare per essere sottoposta a un trapianto di midollo osseo. Tornò in Italia e si fece arrestare e subito dopo divenne ufficialmente collaboratore di giustizia, svelando tanti importanti retroscena su Cosa nostra agrigentina. A quell’epoca la famiglia Gagliardo, dato il pentimento di Ignazio, fu sottoposta al programma di protezione dello Stato, ma Luigi, a quanto pare lo rifiutò; anzi da alcuni atti processuali si evince che fu proprio lui ad avvisare il boss Maurizio Di Gati che il fratello Ignazio si era pentito e che lui non condivideva affatto la scelta.
Al processo «Ombra» Luigi Gagliardo ammise le proprie responsabilità («Ma il suo – ricorda il difensore dell’epoca, avvocato Antonino Gaziano – era più che altro un ruolo marginale di favoreggiamento) e fu condannato in appello, nel 2006, a tre anni per associazione mafiosa; in quel periodo sembrò che anche lui volesse «saltare il fosso», seguendo l’esempio del fratello Ignazio, ma oggi nessuno se la sentirebbe di confermare un presunto «pentimento» che in effetti pare che non ci sia mai stato. Resta però fermo il fatto che Luigi Gagliardo si è trasferito da Racalmuto a Catania meno di un anno fa portando con se il padre e la madre, andando a vivere proprio ad Aci Santì’Antonio vicino alla casa di uno dei due fratelli carabinieri. I rapporti tra Luigi Gagliardo e i suoi genitori pare fossero affettuosi; e lui, il presunto omicida-suicida, all’esterno non aveva mai dato segni di squilibrio; nel periodo in cui finì in prigione, era il padre Antonio a trepidare per lui e curare i rapporti con gli avvocati difensori, pagando anche le spese processuali. E verosimile pensare che il rito funebre si possa svolgere a Racalmuto, terra natìa di una famiglia, in larga parte sfortunata.

 

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