Alfano, bufera sull’assunzione del fratello. Lui: “Ri-uso politico di scarti dell’inchiesta”

 

Nell’ufficio di Via in Lucina, a due passi da Montecitorio, il faccendiere Raffaele Pizza, fratello dell’ex sottosegretario all’Istruzione dell’ultimo governo Berlusconi e segretario della Dc Giuseppe, intratteneva rapporti di peso e coltivava relazioni influenti. «Sfruttando i legami stabili con influenti uomini politici, spesso titolari di altissime cariche istituzionali», scrive il gip di Roma Giuseppina Guglielmi nell’ordinanza di custodia cautelare che lo ha spedito in carcere insieme ad altre 11 persone (altre 12 ai domiciliari) nell’ambito dell’inchiesta «Labirinto» coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal sostituto Stefano Roco Fava. E’ lì, nella prestigiosa sede del centro storico, che Raffaele Pizza parla delle sue entrature mentre i militari del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria lo intercettano. Il 9 gennaio del 2015. Pizza conversa con Davide Tedesco, collaboratore del ministro dell’Interno Angelino Alfano. E sostiene, annotano le Fiamme Gialle, «di aver facilitato, grazie ai suoi rapporti con l’ex amministratore Massimo Sarmi, l’assunzione del fratello del ministro in una società del Gruppo Poste». 

Pizza: «Angelino lo considero una persona perbene un amico… se gli posso dare una mano… mi ha chiamato il fratello per farmi gli auguri… tu devi sapere che lui come massimo (di stipendio, ndr) poteva avere 170.000 euro… no… io gli ho fatto avere 160.000. Tant’è che Sarmi stesso glie l’ha detto ad Angelino: io ho tolto 10.000 euro d’accordo con Lino (il soprannome di Pizza, ndr), per poi evitare. Adesso va dicendo che la colpa è la mia, che l’ho fottuto perché non gli ho fatto dare i 170.000 euro… cioè gliel’ho pure spiegato… poi te li facciamo recuperare… sai come si dice ogni volta… stai attento… però il motivo che non arriviamo a 170 è per evitare che poi dice cazzo te danno fino all’ultima lira. Diecimila euro magari te li recuperi diversamente». Al che Tedesco sbotta: «Ma non lo dice come è entrato lì il “sistema” per gestire gli appalti». 

Secca la replica del ministro Alfano (estraneo all’inchiesta). «Siamo di fronte al ri-uso politico degli scarti di un’inchiesta giudiziaria. Ciò che i magistrati hanno studiato, ritenendolo non idoneo a coinvolgermi in alcun modo, viene usato per fini esclusivamente politici. Le intercettazioni non riguardano me, bensì terze e quarte persone che parlano di me. Persone, peraltro, che non vedo e non sento da anni». «Io – contrattacca il leader di Ncd – rimango fermo a quanto valutato da chi l’inchiesta l’ha studiata e portata avanti e ha ritenuto di non coinvolgermi. Il resto appartiene al lungo capitolo dell’uso mediatico delle intercettazioni. Ma questo e’ un discorso ben noto a tutti, che si trascina da anni, diventando ormai una vera e propria telenovela legislativa».  

L’inchiesta è comunque una tegola che arriva in un momento difficile per il governo Renzi. I Cinque Stelle colgono la palla al balzo. «Ministro Alfano lei ha il dovere di fornire spiegazioni al Parlamento e all’opinione pubblica intera», scrive su Twitter il grillino Alessandro Di Battista. Intanto anche l’ad di Poste, Francesco Caio, commenta l’inchiesta da cui sarebbe emersa l’assunzione del fratello di Alfano nel gruppo: «Abbiamo letto sui giornali quello che sta emergendo: se questo è il quadro, noi rappresentiamo una discontinuità rispetto al passo e penso che anche con il nuovo management stiamo dimostrando quanto l’aria sia cambiata». «Valuteremo la situazione», aggiunge Caio, che alla domanda se siano previste azioni specifiche ha risposto: «Non personalizzerei in questa fase». 

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