“Alterati i reperti esplosivi di Capaci”

“Le analisi sull’esplosivo usato per la strage di Capaci, fatte subito dopo l’attentato, furono eseguite utilizzando le migliori tecniche esistenti all’epoca. Le critiche che si possono sollevare riguardano soprattutto la fase della raccolta dei reperti. Sul posto, infatti, arrivarono parecchie persone, che calpestarono il terreno circostante, alterando la conservazione dei reperti stessi”.  

Lo hanno sostenuto i periti Claudio Miniero e Marco Vincenti incaricati dalla Procura nissena di eseguire una nuova consulenza sull’esplosivo utilizzato nella strage di Capaci. I tecnici stanno deponendo in Corte d’Assise a Caltanissetta nel nuovo processo per l’attentato del 23 maggio ’92, in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.

“Inoltre, si trattava di una situazione completamente nuova per chi doveva raccogliere i resti di esplosivo e di terreno – hanno aggiunto – perché un fatto del genere non si era mai verificato e quindi non avevano un metodo da seguire. Ad esempio, nel caso dell’attentato di via D’Amelio, la campionatura delle tracce dell’esplosione fu eseguita in maniera molto più razionale, prelevando resti da più punti, perché c’era stato il precedente di Capaci”.

Sotto processo davanti alla corte ci sono boss e affiliati alla famiglia mafiosa di Brancaccio: Salvo Madonia, Vittorio Tutino, Lorenzo Tinnirello, Giorgio Pizzo e Cosimo Lo Nigro. “Dobbiamo considerare – hanno affermato i periti – che l’esplosivo conservato in una latta in fondo al mare si conserva meglio perché sta meno a contatto con l’ossigeno e quindi è meno soggetto ad ossidazione”.

Secondo quanto riferito dal pentito Gaspare Spatuzza nel corso delle precedenti udienze, l’esplosivo utilizzato per l’attentato di Capaci proverrebbe da ordigni bellici recuperati in fondo al mare.

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