BIVONA – Tar conferma revoca scorta a Ignazio Cutrò: «Ma io rischio la mia vita»

«Prendo atto che il ricorso da me presentato al Tar Lazio contro la revoca, da parte della Commissione Centrale, delle speciali misure di protezione adottate nei miei confronti e della mia famiglia è stato rigettato».

Ad affermarlo è Ignazio Cutrò, presidente dell’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia, che aggiunge: «Continuerò a testimoniare gli ideali di giustizia e proseguirò il mio impegno contro le mafie ed a sostegno dei testimoni di giustizia nonostante lo Stato oggi abbia unilateralmente voltato le spalle a me, mia moglie ed i miei figli. Le ragioni della mancata proroga delle speciali misure di protezione non stanno nel venir meno del rischio pericolo di vita né tantomeno a causa delle mie proteste. Nulla di tutto ciò. Io sono ritenuto colpevole di avere dato voce a chi, con coraggio civile, aveva affidato la propria stessa vita allo Stato ed in cambio aveva ricevuto da esso solo sofferenza e isolamento».

«Alquanto ridicola poi l’affermazione – sottolinea – che la famiglia Cutrò non è esposta ad alcun concreto pericolo di vita. Forse una passeggiata per Bivona aiuterebbe la Commissione Centrale a schiarirsi meglio le idee. Sulla mia persona e sulla mia famiglia viene riversato aspro rancore per non essere scesa a più “miti consigli” da parte di chi nelle Istituzioni mi chiedeva di farmi da parte o nella migliore delle ipotesi di farmi i fatti miei. Ora la mia vita, la mia stessa vita e quella di mia moglie e dei miei due amati figli, sono nelle vostre mani e in quelle di chi nelle Istituzioni credono che lo Stato debba fare la sua parte, nella lotta contro le mafie, fino in fondo senza se e senza ma. Io – conclude Ignazio Cutrò – ho fatto tutto il possibile: non ho ceduto alle estorsioni, ho testimoniato nei processi, sono stato promotore con la mia Associazione di ben tre leggi sui testimoni di giustizia e di altrettante inchieste sui testimoni da parte della Commissione Parlamentare Antimafia. Oggi alzo le mani, non in segno di resa, ma per chiedere a ciascuno di voi di alzare alta la vostra indignazione».

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