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Cartella esattoriale da 39 mila euro a Ignazio Cutrò: “Sono disperato”

Una cartella esattoriale da quasi 39mila euro. Riscossione Sicilia bussa alla porta di Ignazio Cutrò, il testimone di giustizia che con le sue denunce ha fatto arrestare i boss della mafia di Bivona, nell’Agrigentino. Un debito che il presidente dell’Associazione nazionale testimoni di giustizia dovrà saldare entro cinque giorni dalla notifica dell’avviso. “Trascorso inutilmente questo termine procederemo, come previsto dalla legge, a esecuzione forzata” spiegano da Riscossione Sicilia. “La burocrazia è peggio della mafia” dice all’Adnkronos Cutrò che nel 2014 ha dovuto chiudere la sua azienda di movimento terra sommerso dai debiti e senza più una commessa. “Ho denunciato la mafia e ho perso tutto – aggiunge -. Lo Stato ha fatto vincere Cosa nostra, nascondendosi sotto la gonnella della burocrazia. Un messaggio devastante per chi denuncia”.

Quei soldi lui non li ha. “Non ho un centesimo da parte, sono disperato” dice il testimone di giustizia che nell’ottobre del 2015 è stato assunto nella Pubblica amministrazione. Lavora negli uffici di Bivona del dipartimento Acqua e rifiuti. “Prendo poco più di 1.400 euro, ringrazio la Regione che mi consente di mantenere la mia famiglia – spiega -, ma non posso trovare entro cinque giorni 39mila euro, di cui 10mila solo di interessi e more. Vogliono togliermi quel poco di dignità che mi è rimasta, ma non ci sto”. E’ amareggiato Ignazio Cutrò. “Lotto da anni, sono stanco. Io e la mia famiglia ne abbiamo passate tante e non resisterei a questa ulteriore mortificazione”. Tornando indietro ripercorrerebbe la stessa strada della denuncia. A una condizione, però. “Porterei via la mia famiglia dall’Italia, questo non è un Paese per onesti, qui non c’è futuro per chi denuncia“.

Volevo continuare a fare l’imprenditore e non mi è stato permesso, vivo di stipendio oggi, come pago questi debiti accumulati con lo Stato per i danneggiamenti subiti dalla mafia e per le varie perdite delle commesse durante le mie denunce?” continua a ripetere. Da qui l’appello al premier Giuseppe Conte, al ministro dell’Interno, Matteo Salvini, al governatore Nello Musumeci, ai presidenti delle commissioni Antimafia nazionale e regionale, Nicola Morra e Claudio Fava, al sottosegretario all’Interno, Luigi Gaetti, e a Piera Aiello, testimone di giustizia e oggi parlamentare in quota M5S. “Lo Stato dia un segnale forte – dice -, altrimenti si dica chiaramente che la lotta alla mafia non è una priorità ma solo una presa per i fondelli, una dichiarazione di principio”.

Con le mie denunce ho mandato in galera i mafiosi – conclude Cutrò -, ma ho pagato un prezzo altissimo: ho perso la mia azienda e mi sono rimasti i debiti, la mia famiglia è senza protezione. E i mafiosi che ho mandato in carcere mi vogliono morto. Adesso non vengano aggredite la mia casa e il mio stipendio. Aspetterò cinque giorni, se nessuna Istituzione si farà sentire sono pronto a gesti eclatanti e a tornare in piazza, prima a Palermo davanti la Presidenza della Regione, e poi a Roma. Voglio solo che la mia famiglia sia lasciata in pace”.

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