CASO ARNONE – Il Tribunale del Riesame smonta il Gip: «Non c’è il reato di estorsione»

Il reato di estorsione non c’è e se sussistesse quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni quest’ultimo non consente la custodia cautelare. E’ questo in sintesi quanto emerge dalla lettura delle motivazioni del tribunale del Riesame di Palermo dell’ordinanza con cui ha annullato l’ordine di custodia cautelare in carcere per estorsione nei confronti dell’avvocato Giuseppe Arnone, ex consigliere comunale di Agrigento e leader ambientalista.

 
«Ora, una condotta così veicolata (tra 5 avvocati ndr) e una richiesta di denaro avanzata e soddisfatta con assegni circolari, per altro posta in essere da un avvocato penalista, non appare certo univocamente sintomatica del dolo richiesto dalla norma, non solo quella di cui all’art.69 cp, ma anche quella di cui all’art.393 c.p (esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ndr)», scrive il tribunale aggiungendo che ”l’art.393 I comma c.p. non consente la custodia cautelare».

 
Arnone era stato arrestato il 12 novembre con l’accusa di estorsione alla collega Francesca Picone. A fermarlo, all’uscita dello studio della collega dove aveva intascato due assegni per un importo di 14 mila euro, erano stati i poliziotti della Mobile di Agrigento. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere era stata firmata dal Gip di Agrigento Francesco Provenzano.

 
Secondo la Procura, quei soldi sarebbero state «le prime due rate di una tangente di 50 mila euro che Arnone avrebbe chiesto a Picone per non alzare clamore mediatico su una pregressa vicenda giudiziaria che vede la donna imputata per irregolarità nei confronti di una sua cliente, successivamente assistita proprio da Arnone. L’indagato aveva sempre affermato che quegli assegni erano legittimi e dovuti nell’ambito di una transazione tra Picone e la sua cliente che non si sarebbe costituita parte civile nel processo all’avvocatessa imputata di estorsione.

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