CATANIA – Cassazione annulla la condanna a Scuto, il re dei supermarket

Torna alla decisione di un’altra Corte d’appello di Catania il processo per associazione mafiosa all’imprenditore Sebastiano Scuto. Lo ha stabilito la Cassazione che ha annullato con rinvio la condanna a 12 anni di reclusione emessa il 18 aprile del 2013 a conclusione del processo di secondo grado nella parte che riguarda i presunti contatti tra il “re dei supermercati” e il boss Bernardo Provenzano e i fratelli Lo Piccolo per la gestione comune di centri commerciali a Palermo. 

La Suprema Corte ha anche disposto l’annullamento della confisca dei beni dell’imprenditore: ma non tutti potranno tornare in uso al “re dei supermercati” in Sicilia, perché per una parte l’annullamento è definitivo, per un’altra parte è invece con il rinvio della decisione a un’altra Corte. Un altro provvedimento di misura di prevenzione di confisca beni è pendente già davanti la Corte d’appello di Catania, e un’udienza è prevista per il prossimo 25 giugno. La Cassazione ha invece rigettato il ricorso della Procura generale per un caso di estorsione contestato a Scuto e anche quello del ricorso contro l’assoluzione dell’ex sottufficiale dei carabinieri, Orazio Castro, accusato di passare informazioni al clan Laudani.

La Corte d’appello di Catania, il 18 aprile del 2013, aveva ribaltato, in parte, la sentenza di primo grado, emessa il 16 aprile del 2010 dalla seconda sezione penale del Tribunale di Catania, che aveva condannato l’imprenditore a 4 anni e 8 mesi di reclusione, ma assolvendolo dall’accusa di avere gestito a Palermo centri commerciali in comune con i boss Bernardo Provenzano e i fratelli Lo Piccolo, e dissequestrato tutti i beni dell’imprenditore, confiscandone “una quota ideale del 15%”.

I giudici di secondo grado lo avevano poi invece riconosciuto colpevole di collegamenti con la mafia palermitana e disposto la confisca di tutti beni. Decisione adesso annullata con rinvio dalla Cassazione. La difesa di Scuto, rappresentata dagli avvocati Guido Ziccone e Giovanni Grasso, ha sempre sostenuto che il re dei supermercati in Sicilia avrebbe agito da “vittima di estorsioni da parte delle mafia” e che “pagava il clan per evitare ritorsioni personali”.

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