È morto George Michael, gigante del pop

Andarsene mentre tutti stanno ascoltando la tua canzone, per la milionesima volta, quando è tempo di Natale. Sì, mentre molti di noi stavano aprendo su YouTube o guardando alla tv Last Christmas, pezzo, ma soprattutto video memorabile degli Wham!, band iconica della golden generation britannica anni’80, se ne è andato il suo interprete, uno dei più grandi degli ultimi quarant’anni. Sì, George Michael è morto a 53 anni nella sua casa di Londra. Degli Wham!, fondati col suo socio Andrew Ridgeley, non faceva più parte da almeno tre decenni, ma, da solista, la sua fama era accresciuta ancor più, con quella voce straordinaria, lancinante. Una carriera fantastica, una vita però dove gli eccessi non sono mancati.

Si sa soltanto che George è morto d’arresto cardiaco, ma il suo agente ha riferito che la star è «scomparsa serenamente nella sua casa di Londra», escludendo quindi circostanze sospette, come del resto la polizia britannica. Una tragica notizia che arriva dopo almeno due anni di silenzio. In tutti i sensi: anche i tabloid lo stavano lasciando in pace, dopo averlo perseguitato a lungo. Perché guidava in stato di ebbrezza o perché in possesso di stupefacenti vari. O perché sorpreso in un bagno con un poliziotto. Già, la sua omosessualità, malcelata negli anni’80 quando doveva recitare obbligatoriamente la parte del sex symbol a tutti i costi. E poi finalmente dichiarata, ma sofferta, con quella storia di alti e bassi con il compagno di sempre Kenny Gross.

Perché lo scanzonato Michael dei brani natalizi, nato a Londra da padre greco-cipriota ( al secolo si chiama infatti Georgios Kyriacos Panayiotou), è un idolo delle ragazzine britanniche, insieme all’amico Ridgeley con cui fonda gli Wham! nel 1981. Con la zazzera sparata in aria e la voce già unica è un successo immediato: gli Wham pubblicano quattro album in quattro anni, collezionando un primo posto dietro l’altro in classifica, con singoli immediati e di facile ascolto, da Club Tropicana a Wake Me Up Before You Go Go, oltre alla suddetta Last Christmas. Disegnando, con i Duran Duran e gli Spandau Ballet, la colonna sonora di una generazione senza troppi pensieri, negli anni del thatcherismo e della classe media che si arricchisce ( e ostenta) senza freni. E di questa onda George insieme al duraniano Simon Le Bon sembra il capofila assoluto.

Sembra infatti: George è stufo di quella prigione di platino, ma pur sempre una prigione, impostagli per altro dai discografici con cui avrà sempre un pessimo rapporto. E va da solo: sarà un boom incredibile, ancor più che con l’amico Andrew. Perché il cantante riporta l’interpretazione pura, spesso messa da parte, al centro della scena: quella voce lì, alta, suadente, a tratti aggressiva, a tratti delicatissima, non ce l’ha nessuno. Ma, a costo di litigare con le major, George rallenta, a differenza di prima. E infatti gli album inediti saranno solo cinque in meno di vent’anni, dall’acclamato Faith all’ultimo, ormai datato, Patience, anno 2004. In mezzo tante cose belle: le cover degli altri, la Somebody to Love dedicata allo scomparso Freddie Mercury o la Roxanne dei Police, forse ancora più intensa nella sua versione.

Prima, nel 1991, il duetto con il mito personale Elton John con cui interpreta Don’t Let the Sun Go Down on Me. Mito che poi l’accuserà di avere poco coraggio nel dichiarare i suoi orientamenti sessuali: il coming out di Michael avverrà infatti solo nel 1998, dopo il celebre «scandalo del bagno», quando verrà sorpreso in atti osceni mentre farà delle avances a un poliziotto (vicenda su cui poi George intelligentemente scherzerà nel video Outside). Da quel momento il cantante agisce alla luce del sole, affliggendosi spesso nella relazione col compagno Kenny Gross. E finendo ancora più spesso sulle spietate copertine dei tabloid, per guida in stato di ebbrezza o possesso di marijuana. Gli ultimi anni li trascorre, come detto, in silenzio: nel 2011 rischia la vita a Vienna per una polmonite, mentre nel 2012 va in scena l’ultimo tour e la performance alla chiusura delle Olimpiadi londinesi. Altri segni di vita pubblica, l’album Symphonica, ripreso dalla tournée precedente che poco aggiunge al suo formidabile carnet. Chissà quali inquietudini lo stavano ancora tormentando. O se ha trascorso serenamente quest’ultimo, maledetto, Natale. Forse non lo sapremo mai.

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