Ecco il governo Gentiloni: 5 i nuovi ministri, 6 le donne Alfano agli Esteri, Minniti all’Interno, confermato Padoan

Il governo Gentiloni, il numero 64 della storia repubblicana, è pronto. Il presidente del consiglio incaricato ha sciolto la riserva e ha comunicato la lista dei ministri che lo affiancheranno nell’esecutivo. Il giuramento nelle mani del presidente della Repubblica avverrà attorno alle 20.

L’elenco comprende molte conferme di ministri del governo Renzi: Pier Carlo Padoan all’Economia, Andrea Orlando alla Giustizia, Roberta Pinotti alla Difesa, Carlo Calenda allo Sviluppo Economico, Maurizio Martina alle Politiche Agricole, Gianluca Galletti all’Ambiente, Graziano Delrio ai trasporti, Beatrice Lorenzin alla Salute, Enrico Costa agli Affari Regionali, Dario Franceschini ai Beni Culturali, Marianna Madia alla semplificazione e pubblica amministrazione. Tra le novità il passaggio di Angelino Alfano dall’Interno agli Esteri, l’arrivo al Viminale di Marco Minniti, la nomina di Valeria Fedeli all’Istruzione, di Anna Finocchiaro ai Rapporti con il Parlamento e di Claudio De Vincenti alla Coesione Territoriale. Diventa ministro Luca Lotti, con delega allo sport. Mentre Maria Elena Boschi entra nello staff di Palazzo Chigi come sottosegretario.

Unica esclusa della vecchia compagine di governo è dunque Stefania Giannini, che lascia il dicastero di viale Trastevere alla vicepresidente del Senato e che nel precedente esecutivo era entrata in rappresentanza di Scelta Civica. Questa esclusione in aggiunta alla mancata promozione di Enrico Zanetti (che era viceministro dell’Economia) ha probabilmente provocato la reazione risentita del gruppo Ala-Sc – firmata da Denis Verdini e dallo stesso Zanetti – che proprio mentre Gentiloni era riunito con Mattarella ha diffuso una nota per annunciare che non voterà la fiducia a quello che definisce «governo fotocopia», spiegando di vedere disattesi gli intendimenti espressi durante le consultazioni con il capo dello Stato di un esecutivo di responsabilità aperto alle forze disponibili. E sottolineando, appunto, il venir meno del giusto rapporto tra «rappresentanza e governabilità». Secondo quanto trapela, Verdini avrebbe avanzato la richiesta nei giorni scorsi due ministeri per il gruppo. Il disimpegno di Ala-Sc non dovrebbe far venir meno la maggioranza, perché alla direzione nazionale del Pd è passata all’unanimità, e quindi con il sostegno anche della minoranza, la mozione di sostegno al nuovo governo. Ma in passato Verdini e i suoi erano stati più volte utilizzati come stampella dell’esecutivo a fronte di voti in dissenso da parte di esponenti dem recalcitranti: questo soccorso esterno ora non potrà più essere invocato.

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