Evasione fiscale, sequestro da 113 milioni al titolare del Delfino di Marsala

Per evasione fiscale e truffa allo Stato, la procura di Marsala e la guardia di finanza hanno sottoposto a sequestro preventivo d’urgenza somme di denaro, quote societarie, beni mobili e immobili, per un valore di circa 13 milioni di euro, nonché quote sociali e beni mobili e immobili di quattro complessi aziendali, per un valore stimato di circa 100 milioni di euro, a Michele Angelo Licata, il principale imprenditore locale nel settore della ristorazione e alberghiera. Licata dopo avere ereditato dal padre Mariano la gestione del ristorante-sala ricevimenti “Delfino”, è poi riuscito a creare altre strutture, anche nel settore alberghiero, tra cui il “Delfino Beach” e il “Baglio Basile”, quest’ultimo realizzato a Petrosino (Trapani). 

In tutto, sono tredici gli indagati per truffa aggravata allo Stato, dichiarazione fraudolenta finalizzata all’evasione fiscale ed emissione di fatture per operazioni inesistenti. Per illecito amministrativo, indagate anche due società di capitali. Il sequestro, effettuato dal Nucleo di polizia tributaria di Trapani e dalla sezione di pg della guardia di finanza della procura di Marsala, riguarda beni riconducibili anche al nucleo familiare di Michele Angelo Licata. E cioè alle figlie Clara Maria e Valentina, anche loro indagate. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore Alberto Di Pisa e dal sostituto Nicola Scalabrini. I particolari vengono spiegati in una conferenza stampa in corso alla Procura di Marsala.

“Per equivalente” sono state sequestrate quote delle società a responsabilità limitata “Delfino”, “Roof Garden”, “Delfino ricevimenti” e “Rubi” nonché de “L’arte bianca” e “Sweet Tempation”, operanti nel settore panificazione, e “Rakalia” (assistenza residenziale per anziani e disabili). Secondo gli investigatori, sarebbero state evase imposte per oltre otto milioni di euro, mentre i finanziamenti pubblici “illecitamente” ottenuti sono oltre 4 milioni di euro. I fatti contestati sono relativi al periodo tra il 2006 e il 2013. Michele Licata è ritenuto il “deus ex machina”.

Indagati per false fatturazioni (per oltre 20 milioni di euro) verso le società del “gruppo Licata” sono diversi imprenditori e ditte. E cioè Giuseppe Sciacca, costruttore, Maria Rosa Castiglione, commerciante all’ingrosso di prodotti alimentari, Domenico Ferro (“Security”), l’Ispe di Giacomo Bongiorno, la “Master Impianti” di Carlo Palmeri, Vito Salvatore Fiocca (edilizia e movimento terra), la “Ambienti Hotel” di Gaspare Messina, la “Centro Dorelan” di Leonarda Cammareri (commercio tessuti), la “Si.Service” (opere di ingegneria civile) e la “Pi.Ca.M.” di Antonino Nizza (trasformazione ferro e acciaio). I magistrati hanno spiegato che le attività continueranno ad operare sotto la gestione di un amministratore giudiziario già nominato (il commercialista Antonio Fresina) e ciò per evitare la perdita di centinaia di posti di lavoro.

“L’indagine – ha spiegato il pm Scalabrini – è nata da un’attività di verifica avviata dalla polizia tributaria di Trapani e subito è emersa una situazione preoccupante. L’attività d’indagine è stata compiuta in tempi molto celeri. Talvolta, infatti, questi reati vengono scoperti molto tempo dopo la loro commissione e per questo vanno in prescrizione”. A spiegare l’indagine sono stati anche il colonnello Carlo Ragusa e il maggiore Michele Ciarla. Quest’ultimo ha detto che “negli ultimi anni il gruppo Licata ha avuto circa 25 milioni di euro di contributi pubblici e chi faceva le false fatture necessarie ad incassarli riceveva una mancia del 2 o 3 per cento sull’importo risultante sulla carta”.

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