Ci sono pochi dubbi sul movente di mafia, non solo per le modalità dell’agguato ma anche per l’identità della vittima, dell’omicidio, avvenuto intorno alle 19 di ieri, del 51enne favarese Carmelo Bellavia, ritenuto uno dei fiancheggiatori dell’ex capo mafia di Porto Empedocle, Gerlandino Messina.
Carmelo Bellavia, padre di Calogero Bellavia, detto “carnazza”, vivandiere del boss Messina nel periodo della sua latitanza nella palazzina di viale Stati Uniti a Favara, è stato ammazzato da un gruppo di fuoco composto da almeno due persone, che sarebbe giunto nel deposito di bibite e derrate alimentari di proprietà della vittima tra le via San
Michele e Fausto Coppi, a bordo di un mezzo, che non è stato ancora ritrovato.
A sparare però sarebbe stato solo uno dei sicari, armato di pistola, che ha esploso almeno sei colpi, colpendo a morte il favarese che è stramazzato a terra in un lago di sangue tra le pedane di acqua e lattine di Coca Cola.
Portata a termine la missione di morte i killer si sono allontanati indisturbati, senza essere visti da qualcuno. Si spera, comunque che un aiuto possa venire dalle immagini delle telecamere istallate all’ingresso del magazzino-deposito.
Ad indagare sono i carabinieri del Reparto operativo del Comando provinciale di Agrigento agli ordini del colonnello Andrea Azzolini, unitamente agli esperti della sezione Investigazioni Scientifiche dell’Arma, con il coordinamento della Procura della Repubblica di Agrigento. Anche se da qui a poco l’indagine passerà alla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Si indaga sul movente, e la pista mafiosa è la più accreditata.
Carmelo Bellavia, aveva evitato il carcere perché il Gip rigettò la richiesta di arresto della Dda, ma non la condanna con l’accusa di avere favorito la latitanza di Gerlandino Messina. La vicenda giudiziaria presto lo avrebbe privato della libertà. Il figlio Calogero, adesso venticinquenne, fu il primo a cadere nella rete degli inquirenti.
È lui il giovane, pressoché sconosciuto se non per i suoi trascorsi modesti da calciatore subito interrotti per avere sferrato un pugno a un arbitro e rimediato una lunga squalifica, che i servizi segreti avevano individuato come possibile fiancheggiatore del boss di Cosa Nostra.
Seguendo Calogero Bellavia i carabinieri del Reparto operativo, il 23 ottobre del 2010, sono arrivati al latitante, catturato nel corso di un blitz del Gis, le “teste di cuoio” dell’Arma dei carabinieri.
L’irruzione nel covo favarese di via Stati Uniti è scattata dopo un pedinamento a Bellavia che era entrato con una busta con il pranzo ed era uscito a mani vuote. Una scena vista più volte che per gli inquirenti non poteva essere casuale.
Qualche mese dopo sono finiti sotto inchiesta anche i genitori, la fidanzata e il padre della fidanzata del giovane, ai quali veniva contestato di avere sostenuto il boss negli ultimi giorni di latitanza mettendo la casa a disposizione, facendogli la spesa o preparando i pasti. Le due donne coinvolte nella vicenda sono state assolte in primo
grado.
Carmelo Bellavia e la moglie sarebbero stati a “disposizione” di Gerlandino Messina, pesando al ricambio della biancheria, a preparargli il cibo e cercando di assecondare le varie richieste che arrivavano dall’empedoclino.
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