Feltri demolisce Romano Prodi, l’uomo che ci ha condotti al disastro

Ogni tanto Romano Prodi si rivede: forse è immortale. Comunque gli auguriamo lunga vita. Qualche merito ce l’ha. Per ben due volte ha battuto alle elezioni Silvio Berlusconi, il quale a propria volta, con altri avversari, ha vinto in tre circostanze le consultazioni politiche. La storia di Prodi è zeppa di episodi curiosi: in carriera egli è stato e ha fatto di tutto: il ministro, il premier, il professore universitario, il giornalista (editorialista per il Corriere della Sera), il presidente della Commissione europea, il capo dell’Iri. E siamo certi di esserci dimenticati qualcosa. Oggi ha 77 anni e talora si appalesa in televisione per dispensare balbettante saggezza. Il suo modo di fare è quello di un parroco mite e dolce, il suo agire spesso è spietato.

D’altronde il potere o si esercita con cinismo o non si esercita. Martedì sera ho incrociato Romano a Ballarò, noto programma di Rai 3, condotto da Giannini, ex vicedirettore de La Repubblica. Entrambi, lui ed io, eravamo in collegamento, il che impediva un dialogo diretto, ma non di discutere, anzi di litigare. La mia tesi riguardo a Brexit è la seguente: non è una catastrofe, bensì una decisione rispettabile, non imposta dall’alto, ma assunta dal popolo inglese interpellato mediante referendum, la più alta espressione democratica. Motivo per il quale auspico che anche l’Italia vi ricorra per tastare il polso ai cittadini. Non siano quattro finti esperti, professoroni presuntuosi e saccenti, a decidere le sorti del Paese ovvero se questo debba o no rimanere immerso nel minestrone europeo.

Prodi, pur comprendendo la scontentezza della gente, alle prese con una crisi interminabile, è dell’idea che un referendum sia improponibile. Ma non ha spiegato perché sia stato possibile svolgerlo in Gran Bretagna, mentre da noi sarebbe illecito. Per sfottermi è arrivato a dire che se la mia ipotesi fosse valida, qualcuno si azzarderebbe a suggerire un plebiscito allo scopo di scegliere tra Monarchia e Repubblica. Una spiritosaggine vacua visto che simile consultazione avvenne oltre 70 anni orsono e registrò la vittoria – a suon di brogli – della Repubblica.

Le insensatezze sono la specialità di Prodi. Fu lui a regalare l’Alfa Romeo alla Fiat, così, per simpatia o per altro (non è stata mai chiarita la questione). Un particolare: l’azienda torinese pare che non abbia sborsato manco un centesimo. Un altro suo capolavoro: abolì la riforma pensionistica elaborata da Maroni (finestre, finestroni, scale e scaloni) e ripristinò il vecchio sistema previdenziale, che faceva rima con esiziale. Sempre Prodi si impegnò per consentire all’Italia di entrare di straforo nell’euro, con una quotazione da sballo: 1936 lire. Pareva che senza euro saremmo finiti nelle fogne a far compagnia alle pantegane. Viceversa fu una fregatura, come i nostri connazionali ben sanno avendoci smenato oltre 2000 euro a testa ogni anno, statistiche alla mano.
Un dettaglio. Il professor Romano per farci ottenere il privilegio di tagliarci i testicoli, ingiunse agli italiani la famigerata tassa europea, pari allo stipendio mensile di ciascuno di noi, con la promessa che tale somma ce l’avrebbe poi restituita. Frottola. Egli si inventò un’altra tassa che assorbì il rimborso che era nei patti. Questo è l’uomo. Non è antipatico. Assolutamente no. Ma il fatto di averci trascinato nella disavventura europea, non depone certo a suo favore. Diciamo che non merita il Nobel.

Dal momento in cui abbiamo mandato in solaio la gloriosa liretta, sarà una sfortunata coincidenza, la nostra economia è andata a puttane. I prezzi sono saliti vertiginosamente e i salari hanno iniziato ad arrancare, dando la stura alla miseria che si è diffusa a macchia d’olio (non d’oliva, perché è troppo caro). È assodato che la moneta unica ha prodotto un abbassamento dei tassi di interesse, cosicché il debito pubblico non sarebbe stato difficile prosciugarlo almeno un po’. Ma i nostri governanti idioti se ne sono guardati dal segare la spesa, anzi l’hanno incrementata per procurarsi il consenso degli elettori. Da noi funziona così. Tutti predicano la spending review, ma nessuno la fa temendo di scontentare i geometri, i ragionieri, le vere categorie che di volta in volta chiedono piaceri al potere in cambio dei quali assicurano il proprio appoggio. Ergo. Non si taglia nulla, ma si spende di più. E il passivo aumenta. È aumentato con Berlusconi, è aumentato con Monti, è aumentato con Letta e anche con Renzi. Sorvolo sui governi precedenti per carità di patria.

Aggiungo soltanto che una classe politica così cialtrona e sbracata non ha alcun titolo per insegnare alla gente come ci si comporta in democrazia. Qualsiasi persona di medio e addirittura basso livello è in grado di tenere testa ai responsabili della res publica. I quali pertanto abbiano la decenza di non sottovalutare il voto di un referendum, consultivo o no che sia. A proposito, è necessario precisare che il nostro Paese sghembo pur avendo organizzato vari plebisciti abrogativi, non è mai stato capace di tenerne conto, salvo rare eccezioni. Il referendum sulla abolizione del finanziamento ai partiti restò lettera morta; quello sulla abolizione del ministero dell’Agricoltura, idem (sostituirono solo le insegne del palazzo che ospita il dicastero); quello sulla privatizzazione della Rai, gettato nella pattumiera. Solo il divorzio e l’aborto passarono lisci.

In definitiva, la classe dirigente si fa un baffo del nostro suffragio e a sentirlo nominare va in bambola, lo rifiuta come abbiamo verificato in questi giorni. L’Inghilterra è andata alle urne per consultare il popolo, alla cui volontà si è attenuta anche se poteva farne a meno. Dalle nostre parti, viceversa, basta che Libero raccolga le firme per aprire le urne e fare la stessa cosa fatta in Gran Bretagna, e si alzano voci di protesta negli ambiti degli intellettuali ovvero coloro che disprezzano la gente, considerandola carne di porco. Quelli che gridano di più sono gli stessi che si sciacquano la bocca ogni due per tre con la democrazia, l’uguaglianza, e si esprimono solo con frasi politicamente corrette nella forma, in realtà dense di razzismo malcelato.

Noi insistiamo. Chiediamo a tutti di reclamare il diritto al voto sull’euro e sull’Europa, da cui dipendono tanti guai. Sia il popolo e non i suoi stolti tribuni a dire se stare di qua o di là.

di Vittorio Feltri

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