Gomorra 3, uno degli autori: “Vi spiego perché è finita come non volevate”

“Abbiamo fatto un patto narrativo: non guardare in faccia a nessuno. Raccontiamo una guerra, non ci si può sentire al sicuro”. Leonardo Fasoli è lo story editor di Gomorra. Fa parte del gruppo di autori (oltre a lui Stefano Bises, Roberto Saviano, Maddalena Ravagli, Ludovica Rampoldi) che a vario titolo pensano e sviluppano le vicende della serie Sky. Di fronte alle reazioni del pubblico dopo il finale della terza stagione – la morte di Ciro Di Marzio, fra proteste e cordoglio, oltre a quella di Scianèl – non si scompone più di tanto. “Che dire allora di Attilio, che era protagonista insieme a Ciro e lo abbiamo fatto morire subito nella prima stagione, o di donna Imma, un personaggio importante che tutti amavano e che la logica di quando costruisci una serie consiglierebbe di tenere in vita. È una scelta narrativa”.

Con 917 mila spettatori medi, l’hashtag #gomorra3 in vetta alla classifica dei TT, il finale di stagione su Sky ha segnato l’ennesimo successo per la serie ma il colpo di scena finale ha lasciato interdetta una gran fetta di pubblico. Scianèl, interpretata da Cristina Donadio, era un personaggio amato ma entrato in corsa e la sua morte per mano di Patrizia colpisce  in misura minore rispetto al “fratricidio” fra le lacrime commesso da Genny, Salvatore Esposito, che fa uscire definitivamente di scena “l’immortale” cui ha dato vita Marco D’Amore.

“È la storia di una guerra permenente – continua Fasoli – dove nessuno è mai sicuro di poter sopravvivere, anche se nell’ambito dei clan sei una figura di rilievo, o se apparentemente sei un ‘vincitore’. Non puoi mai sapere se il tuo boss ti manda a morire per una stupidaggine, non sai se puoi fidarti del tuo migliore amico perché la caratteristica delle situazioni di guerra è proprio l’assoluta incertezza. Ed è quella che noi vogliamo trasmettere. È connaturata al mondo che andiamo a raccontare”.

Fasoli ricorda gli incontri, le interviste fatte ai “veri” protagonisti di storie come quelle narrate da Gomorra “e se devo trovare una caratteristica comune, sia in quelli che stanno scontando una condanna che in quelli che sono stati vicini a quelle storie anche solo come testimoni, la cifra è quella di una perdita continua, hanno avuto tantissimi lutti. Una volta uno di questi personaggi mi ha raccontato la sua storia al cimitero di Secondigliano, indicandomi tutte le tombe dei suoi amici: nessuno era rimasto in piedi a parte lui. In quel mondo o muori o finisci in carcere e l’assoluta incertezza è psicologicamente la condizione più logorante. Nella narrazione la devi mantenere per non tradire la realtà di quel mondo. Un’incertezza – continua – che rispecchia anche, più in generale, i tempi in cui viviamo, oltre che il sentire criminale”.

Quel che ha colpito, nella morte di Ciro, sono state le modalità. Il sacrificio, il dolore al quale l’amico, in ogni caso, passa sopra per la “ragion di Stato”. “I personaggi – spiega Fasoli – muoiono in tanti modi diversi, noi dobbiamo avere il coraggio di tirare dritti, non dobbiamo forzare i fatti solo per fare contento il pubblico. Un racconto così costruito lascia aperta la vicenda a qualsiasi accadimento, mentre al contrario se ci sono personaggi che tu non tocchi mai, alla fine sai chi è che vince e chi è che perde. Qui, fino all’ultima puntata nessuno sapeva esattamente cosa sarebbe accaduto. Una cosa del genere può accadere a chiunque, fra i personaggi, e questo rende il racconto più avvincente. Certo, paghi un prezzo, ma lo avevamo già messo in conto quando avevamo fatto morire Conte, che era un bellissimo personaggio, o Imma”.

È un mondo tragico, e l’uscita di scena fa parte di quel mondo. “Nel portare avanti quelle logiche – continua l’autore – nel tirarle all’estremo è come se i personaggi si autodistruggessero. Ciro un po’ se lo aspetta, da tempo è condannato. Anche se, dopo il suo ritorno, ha cercato una sorta di riscatto fuori da quelle logiche. Ma per lui non c’è più spazio, né all’interno di quel mondo né fuori, perché non gli è rimasto niente. Una elle cose più terribili che mi hanno raccontato è che nei clan la dinamica del potere è talmente schiacciante che se vuoi sopravvivere è possibile che debba morire tuo fratello. Anche su questo si basa il nostro ‘patto’ con il pubblico e con la narrazione: no a logiche conservative nel rispetto della verità”.

Diversa la situazione fra Patrizia, Cristiana Dell’Anna, e Scianèl, Cristina Donadio. “In quel caso avevamo un sottocapo e un capo e, intorno, la pressione delle guerre e delle alleanze che cambiano. Per le due donne è forta la tentazione di mettersi una contro l’altra perché chi prevale sarà molto ambito dai clan. Patrizia poteva scegliere: essere fedele a Scianèl e diventare un suo gregario o essere più forte. La uccide perché nella sua ricerca di un ‘posto’ è determinata mentre Scianèl tende a sottovalutarla. Così facendo – continua Fasoli – siamo riusciti a far compiere al personaggio di Patrizia un arco narrativo: da quella che controvoglia è stata costretta a occuparsi di Don Pietro latitante a una donna trasformata. Quando uccide Scianèl è un’altra persona, quel mondo l’ha divorata, è diventata feroce. Quello stesso arco narrativo, Scianèl l’aveva compiuto: era già una guerriera, torna sul campo sentendosi una regina, crede di essere invicibile e invece, per superbia, sbaglia”.

Cosa inventare adesso, per la quarta stagione, per non correre il rischio di perdere quella fetta di pubblico che sui social minaccia l’addio dopo la morte di Ciro? “Per ogni stagione – risponde Fasoli – abbiamo avuto l’impressione che il lavoro da fare per mantenere o conquistare il pubblico fosse tanto. L’impostazione sarà sempre la stessa: andare dritti con la storia, senza lasciarci condizionare da quello che piacerebbe al pubblico. Di lutti gravi ne abbiamo avuti tanti e ogni volta abbiamo avuto la sensazione che avremmo perso un pezzo di quelli che ci seguivano. Abbiamo ricreato altre situazioni, e ha funzionato”.

Infine, quelli che non si rassegnano. E che negli ultimi secondi dell’ultima puntata hanno intravisto, nelle bolle d’aria che sviluppa il corpo di Ciro affondando in mare, un possibile segnale di vita. Una scuola di pensiero che nelle ore immediatamente successive al finale di stagione ha conquistato un certo spazio e qualche credito. “No – sorride Fasoli – noi non facciamo quei trucchi tipici delle serie molto lunghe, dove ci sono personaggi che muoiono e poi rispuntano. Semmai lo dichiariamo subito, com’è stato per Genny che si pensava morto e invece venne inquadrata la mano che si muoveva. Forse in futuro – scherza – potremmo pensare a una serie in cui mettiamo insieme Gomorra e The walking dead e vedere che cosa succede all’inferno, quando tutti i morti si ritrovano insieme…”.

FONTE: REPUBBLICA.IT

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