GROTTE – Omicidio tabaccaio, dinamica poco chiara: disposta autopsia

Roberto Chiarenza il 56 enne tabaccaio di Grotte accoltellato mortalmente dal fratello è stato ucciso con un coltello da cucina di circa 10, massimo 15 centimetri, l’ arma è stata subito recuperata e sottoposta a sequestro. Verosimilmente, nelle prossime ore, il magistrato potrebbe anche disporre l’autopsia per stabilire quante effettivamente sono state le coltellate sferrate che hanno colpito il tabaccaio cinquantaseienne. Un uomo molto conosciuto, proprio per via del suo lavoro che lo poneva in contatto con tantissima gente, a Grotte, ecco perché la comunità è sconvolta e incredula e non riesce a spiegarsi il perché di tanta efferatezza. Pare che fra i due fratelli, vi sarebbero stati dei rancori e dei continui dissapori. Non chiari, di fatto, i motivi di astio. Ma c’erano, tanto emerge dalle primissime battute investigative che sono coordinate dal sostituto procuratore Cecilia Baravelli. 

“Venite a casa mia, ho ammazzato mio fratello”. Sarebbe questo, grosso modo, quello che Pietro Chiarenza, 64 anni di Grotte, avrebbe detto al carabiniere della stazione di Grotte che, ieri mattina (erano le 8 circa), ha risposto al telefono. Dopo aver ripetutamente accoltellato il fratello, colpendolo alla gola, l’uomo ha chiesto l’intervento dei militari dell’Arma. Tanto è emerso a distanza di ore dal delitto di via Corsini.  

I carabinieri si sono precipitati ed hanno avuto appunto la conferma: c’era stato un omicidio. A perdere la vita: Roberto Chiarenza, tabaccaio di 56 anni.. Gli investigatori hanno provato – e lo hanno fatto praticamente per l’intera giornata – a fare chiarezza su cosa fosse accaduto fra i due e sul perché Pietro Chiarenza si fosse armato di coltello e si fosse scagliato contro il fratello più piccolo. Non è stato semplice e il riserbo, da parte degli investigatori, prosegue.

In passato, La vittima nel 2016 era stata coinvolta in una vicenda di stalking e danneggiamenti e per questo motivo sottoposta a misura cautelare. Due i procedimenti che lo hanno visto protagonista (il primo davanti il giudice monocratico Tedde, l’altro davanti il giudice monocratico Miceli). In entrambe le occasioni era stato ritenuto responsabile dei fatti a lui ascritti ma assolto per incapacità di intendere e volere. Da qui una “battaglia” giudiziaria innescata a suon di denunce: Chiarenza aveva querelato sia lo psichiatra che aveva effettuato la perizia, sia i medici che lo avevano in cura in una struttura di igiene mentale di Canicattì.

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