INCHIESTA ARS – Corsi inutili e spesa senza controllo il pozzo senza fondo della Formazione

ALL’ULTIMA conta, i dipendenti della formazione professionale in Sicilia superano quota 10 mila. Un numero che il presidente della commissione d’inchiesta sul settore, Filippo Panarello, rivela quasi con timore, e che correda le trentadue pagine della relazione presentata ieri mattina. Il lavoro dei commissari, durato otto mesi, è confluito in un documento che affonda il bisturi in un settore malato di gigantismo. I numeri, quelli già noti e quelli meno noti, sono da record e sembrano fare a pugni con i propositi di riforma più volte enunciati. A far paura è soprattutto il confronto con altre zone d’Italia: in Sicilia opera il 46 per cento, ovvero quasi la metà, del personale delle formazione professionale in servizio a tempo indeterminato nell’intero Paese. Così è nato, si è gonfiato e resiste lo stipendificio isolano. Grazie a “continue incursioni – è scritto nella relazione – di settori della burocrazia e della politica”.

UN POZZO SENZA FONDO
Secondo la commissione, la spesa rimane in continuo aumento. Perché se è vero che i finanziamenti, nel 2011, non hanno superato i 169 milioni di euro (contro i 241 dell’anno precedente e i 260 del 2009) è vero pure che questo stanziamento si riferisce al solo “Prof”, il piano di offerta formativo storicamente sostenuto con la legge 24 che risale alla fine degli anni ’70. Cresce con i fondi degli sportelli multifunzionali e quelli dell’obbligo di istruzione. Insomma, stima la commissione, la spesa attualmente si attesta intorno alla cifra di 400 milioni di euro, “senza considerare le risorse comunitarie destinate negli anni a finanziarie progetti di formazione”.

LE SCATOLE CINESI
Il numero degli addetti con contratto a tempo indeterminato raggiunge nel 2008 (ultimo dato disponibile negli uffici regionali) la ragguardevole cifra di 7227. Cifra cui va aggiunta quella degli operatori degli sportelli multifunzionali (1385), e quella degli addetti dell’Obbligo formativo. “Senza trascurare – scrivono i commissari – le assunzioni a tempo indeterminato operate negli anni successivi, ancorché non autorizzate dall’amministrazione, ed i rapporti di lavoro a tempo determinato o a progetto”. Secondo gli autori dell’inchiesta “molti guasti sono iniziati con una norma varata alla vigilia del Natale 2002”, governatore Cuffaro e assessore al Lavoro Stancanelli, che ha applicato nel settore il sistema del fondo sociale europeo. Quella che sarebbe dovuta essere una disposizione virtuosa “ha in realtà allargato la platea dei soggetti operanti nel comparto” perché si aprì a nuovi enti, senza vincolo di assunzione, salvaguardando il personale già in servizio. Poi, parte del personale al lavoro nel Prof fu trasferito negli sportelli multifunzionali, con una progressiva sostituzione. Un gioco di scatole cinesi, dove i dipendenti scompaiono da una parte e tornano in un’altra, raddoppiando quasi magicamente. Dai dati acquisiti dalla commissione risulta che il 60 per cento del totale delle assunzioni effettuate nella formazione risale al periodo dal 2000 al 2008, con il massimo livello in periodo pre-elettorale, dal 2006 in poi. Oggi circa duemila dipendenti sono in cassa integrazione.

SPESA FUORI CONTROLLO
La grande quantità di enti che operano nel settore – 230 solo quelli impegnati nel Prof – è “frutto anche di un sistema di accreditamento lacunoso, ancorché provvisorio, e sostanzialmente funzionale all’allargamento della platea”. Il sistema di accreditamento “è ancora oggi aperto a tutti – si legge nella relazione – in quanto a tutti possono essere rilasciati accreditamenti provvisori che permettono la partecipazione ai bandi e l’erogazione dei finanziamenti senza un minimo di verifica ispettiva”. L’indice è puntato anche sul “sistema di finanziamento degli enti che, attraverso il metodo delle integrazioni, la differenziazione del parametro ora-corso, ed il costante e forse “voluto” ritardo nella rendicontazione, ha concorso all’incremento della spesa annuale ed è tuttora fonte di possibile contenzioso con l’amministrazione”.

LE INGERENZE POLITICHE
L’atto d’accusa si estende al reclutamento del personale “che, formalmente in capo agli enti e fondato su regole e filtri facilmente aggirabili, ha consentito continue “incursioni” di settori della burocrazia e della politica sia a livello regionale sia livello periferico”. Questo meccanismo, da un lato, ha portato “a un’anomala distribuzione territoriale dei corsi, non proporzionata rispetto alla consistenza demografica delle diverse province, né rispetto al tasso di disoccupazione delle aree considerate”. Messina, in proporzione, ha più corsi di tutti: 417 nel 2011, contro i 307 di Catania. D’altro canto, gli ingranaggi poco trasparenti delle assunzioni hanno prodotto una non eccelsa qualificazione del personale docente: solo un insegnante su tre ha la laurea, il 59 per cento è fornito di diploma di scuola secondaria. “Si rileva all’interno del corpo docente un numero sia pur ridotto di personale con il diploma di scuola media o addirittura di licenza elementare”.

E POI CHE FANNO?
La relazione parla di “assoluta mancanza di verifiche sull’esito formativo, non solo riguardo agli abbandoni, ma soprattutto in rapporto agli ingressi nel mercato del lavoro”. Un rapporto dello staff dell’assessore Centorrino racconta che solo 9 corsisti su 100 trovano un lavoro “coerente” con i corsi seguiti. La sintesi della commissione Panarello: “Il sistema appare costituito sulla crescita esponenziale della spesa pubblica, indirizzato a creare posti di lavoro, a prescindere dalle esigenze effettive del mercato del lavoro e della qualità dei servizi erogati”.

FONTE: LA REPUBBLICA.IT-  EMANUELE LAURIA

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