MAFIA – L’ergastolano Domenico Pace chiede incontro al Papa dal supercarcere di Sulmona

«Domenico Pace non ha mai chiesto perdono per l’uccisione del giudice Rosario Livatino. Non può chiedere perdono per una cosa che non ha fatto». Giusy Tornambè è la cognata di quello che per la giustizia è uno dei killer del giudice canicattinese. E’ la sua tutrice visto che Domenico Pace è stato interdetto dopo la condanna all’ergastolo dai pubblici uffici. La donna ha quindi smentito categoricamente che il cognato abbia nella lettera inviata a Papa Francesco chiesto di essere perdonato per l’omicidio del «giudice ragazzino».

«Mio cognato – dice la diretta interessata – ha voluto dire al Sommo Pontefice che ha intrapreso la strada del perdono, della spiritualità. E’ rimasto molto colpito dal monito del Papa a tutti i detenuti. Quel convertitevi lo ha fatto riflettere ancora di più di quanto non lo abbia già fatto. Da alcuni anni ha intrapreso la strada delle spiritualità e, quindi ha voluto dire a Papa Francesco che intende ascoltarlo».

-Cosa è successo in carcere a suo cognato?

«Fino al 2006 era in regime carcerario con il 41 bis. Poi il trasferimento al supercarcere di Sulmona, dove si trova rinchiuso tuttora, gli ha consentito di avere molto più tempo libero. Oltre a concedersi qualche passeggiata, ha studiato, a cominciato a leggere anche la Bibbia. Lui è molto cambiato, questo lo abbiamo notato. Non non poteva scrivere di essere pentito di avere ucciso Livatino. Lui si è sempre proclamato innocente. Non ha detto nulla in 26 anni di carcere, poteva anche beneficiare degli sconti di pena come collaboratore o pentito, ma mio cognato non lo ha fatto perché lui dell’omicidio del giudice non ne sa nulla».

-Cosa fa in carcere oltre a leggere?

«E’ molto impegnato, soprattutto con la pittura. E’ molto bravo con il pennello. Ha ricevuto un encomio dalla Regione Abruzzo perché ha venduto alcuni suoi quadri per raccogliere fondi da destinare ai terremotati de l’Aquila. Poi si occupa anche di teatro. Ha messo in scena un lavoro sul femminicidio. A noi familiari e a lui stesso che è in carcere e non può difendersi, interessa far capire che non si è potuto pentire di una cosa che non ha fatto. Anche in tribunale nel corso del processo, non ha mai detto una parola. Domenico è una persona molto timida, si porta per la giustizia un peso troppo grande. Adesso, intende proprio incontrare Papa Francesco. Stiamo lavorando a tal proposito». 

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