MAFIA – Morto Antonino Calderone, storico pentito

Lo storico pentito catanese Antonino Calderone, 78 anni, è morto nella località segreta oltreoceano nella quale viveva da anni sotto falsa identità. Lo ha reso noto il capo della polizia, Antonio Manganelli, durante un incontro pubblico.

Con Tommaso Buscetta, Salvatore Contorno e Francesco Marino Mannoia, Calderone fu tra i primi boss mafiosi a collaborare con la magistratura in Sicilia. Calderone fornì indicazioni preziose sull’organizzazione di Cosa nostra e sugli affiliati in diversi mandamenti dell’isola.

Calderone, ha detto Manganelli, era un profondo conoscitore della realtà siciliana, “ci ha dato un grande contributo per la conoscenza del fenomeno mafioso”. Il capo della polizia ha anche ricordato quando, dopo la sua scelta di “smettere la pelle di mafioso” lo stesso pentito gli “affidò” la sua famiglia, alla quale oggi Manganelli al telefono ha espresso il suo cordoglio.

In particolar modo, il contributo di Calderone è stato essenziale per individuare gli insediamenti mafiosi ed i loro capi nella Sicilia orientale, dove, sino al 1982 si riteneva che non esistesse una presenza di Cosa Nostra. Calderone era fratello di Giuseppe, detto “Cannarozzu d’argento” (“Gola d’argento”), ucciso nel 1978, che oltre a rappresentare sotto l’Etna la Commissione aveva, tra l’ altro garantito la latitanza di Luciano Liggio, negli anni Settanta, in provincia di Catania, a Vaccarizzo, dove la polizia scoprì, quando già il boss corleonese era riparato al Nord, una villa fortificata, con annessa una “prigione”, in previsione di alcuni sequestri di persona in progetto nel Catanese.

Calderone dopo l’uccisione del fratello (il delitto spianò la strada all’ affermazione di due cosche: Ferlito e Santapaola) capì di esse in pericolo e fuggì a Nizza dove aprì una lavanderia. Si pentì, inviando messaggi al giudice Giovanni Falcone, quando si rese conto che anche in Costa Azzurra c’era una discreta presenza di Cosa nostra, che reinvestiva i proventi della droga nell’ edilizia residenziale, e che dunque i suoi rivali non avrebbero tardato a scovarlo.

Calderone racconta la storia della mafia a Catania e retrodata agli anni ’30 la sua presenza nel capoluogo etneo, ma ne disegna il radicamento sul territorio a partire dalla fine degli anni ’60. Il suo racconto ricostruisce la guerra per la supremazione tra i Ferlito ed i Santapaola, dalla strage di via Iris (28 aprile 1982: sei morti) sino alla strage della Circonvallazione di Palermo, del giugno del 1982. Alfio Ferlito viene ucciso dai rivali durante la traduzione dalle carceri di Enna a quelle di Trapani, muoiono anche due carabinieri ed un civile. La strage, spiegherà Calderone, segnalava la piena intesa operativa tra cosche di Palermo e Nitto Santapaola, che insieme sarebbero tornate ad “agire” il 3 settembre, in via Isidoro Carini, per uccidere il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie e l’ agente di scorta.

Ma Calderone illumina anche i giudici sul perverso intreccio di rapporti tra grande imprenditoria catanese e mafia. Le cosche estorcono denaro, ma al momento opportuno non si tirano indietro nel propiziare gli affari delle imprese, alle quali forniscono anche false fatture Iva. Ed il “racconto” del pentito spazia anche sui forti legami tra mafia catanese, nissena (in particolare gelese), agrigentina, puntati sulla conquista di ricchi sub appalti. Un settore nel quale il boss Giuseppe
Madonia aveva una funzione di garanzia e di equilibrio degli interessi di tutta la mafia.

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