OPERAZIONE PAPIRO – Ecco come avveniva il traffico di esseri umani. Processo per 33 trafficanti.

E’ un’indagine eccellente, denominata Papiro che porterà a processo 33 persone, italiane e nordafricane, per traffico di essere umani e molto altro.

Ad annunciarlo è stato il ministro degli interni, Angelino Alfano, stasera in conferenza stampa in prefettura ad Agrigento. Un’operazione di pregio, che nelle fasi intermedie ha visto anche il lavoro della Procura della Repubblica di Agrigento. Una vera e propria tratta di esseri umana è stata scoperta dai Carabinieri del Reparto Operativo di Agrigento, guidati dal tenente colonnello Andrea Azzolini, che hanno condotto l’inchiesta coordinata dalla Dda di Palermo. Un’inchiesta avviata nel febbraio 2010 e conclusa nel gigno 2014 e coordinata dal Procuratore aggiunto Maurizio Scalia e dai pm Rita Fulantelli ed Emanuele Ravaglioli che hanno chiesto al gip di Palermo il rinvio a giudizio di 33 persone, tra cui sei cittadini italiani e 27 egiziani. Sono tutti accusati “di essersi associati tra loro in una organizzazione transnazionale con altri soggetti giudicati separatamente ed altri ancora in corso di identificazione, al fine di commettere più reati contro la persona ed in particolare delitti di tratta di persone, di sequestro di persona a scopo di estorsione e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, come si legge nella richiesta di rinvio a giudizio. L’impianto investigativo attuato ha avuto modo di “documentare compiutamente le fasi relative ad alcuni sbarchi che sono avvenuti lungo le coste siciliane e in quelle calabresi”, durante i quali sono state arrestate 36 persone a fronte del rintraccio di oltre 300 migranti. Le indagini “hanno dimostrato come questo gruppo criminale organizzato, abbia gestito una grossa parte del nuovo mercato delinquenziale, la cui genesi scaturisce dal continuo aumento di richiesta di emigrazione da parte di persone disperate che si danno alla fuga dai loro paesi per sottrarsi alla persecuzione o alla miseria, in conseguenza della persistente instabilità politica dell’area nord e del corno d’Africa”, spiegano gli inquirenti. Il “significativo picco degli sbarchi di immigrati nella provincia di Agrigento e in quelle della Sicilia sud-orientale e della Calabria negli ultimi anni, ha favorito il radicarsi di questa organizzazione criminale internazionale che, seppur strutturata per livelli gerarchico-funzionali, seguiva un modello reticolare fluido, basato su piccole unità flessibili, senza rapporti gerarchici al loro interno e senza rapporti durevoli, capace di gestire le tre maggiori fasi proprie del ”trafficking””, dicono ancora gli investigatori, “il reclutamento dei migranti nei paesi d’origine, il loro viaggio attraverso il Canale di Sicilia, il trasferimento verso l’Italia del centro-nord, come destinazione finale, con dinamiche complesse e modus operandi differente a seconda delle aree regionali interessate alla destinazione”. Le risultanze investigative hanno evidenziato come una prima fase preparatoria dei viaggi si svolgeva appunto in Egitto, dove gli intermediari dislocati nelle varie regioni di quella Nazione procuravano le adesioni dei migranti, facendo da tramite con gli organizzatori. Le persone che intendevano migrare venivano concentrate in un centro di raccolta non molto distante da ”Scanderia”, località che identifica la città di Alessandria d’Egitto, dove rimanevano in attesa di essere imbarcate alla volta dell’Italia, secondo un calendario di partenze che era legato a diversi fattori, quali le condizioni del mare e le attività di controllo operato dalle forze di polizia lungo le coste italiane. La seconda fase riguardava il trasbordo dei migranti che, una volta arrivati nelle acque territoriali italiane, dalla nave ”madre” venivano trasferiti in abitazioni vicine alla costa interessata alla sbarco e vi rimanevano segregati sino a quando i loro parenti in Egitto non avessero versato l’intero importo pattuito per la traversata. Le evidenze investigative hanno messo in luce che i migranti, in entrambe le fasi, venivano sottoposti a episodi di coercizione o di minaccia per ottenere una assoluta sottomissione alla volontà dei trafficanti.

La struttura organizzativa criminale investigata aveva compiti e regole ben definiti, che i capi dell’organizzazione, coloro che per comodità di esposizione vengono definiti appartenenti al ”direttivo” mantenevano i contatti con gli appartenenti al gruppo degli ”intermediari”, operativo in Egitto, ma difficilmente entravano in contatto con i migranti. “La loro identificazione è stata resa ancora più difficile dalla costante permanenza degli stessi in quella Nazione nella quale, stante il precario equilibrio politico, gli approfondimenti investigativi internazionali non hanno sortito i risultati sperati”, dicono gli investigatori. L’indagine ha inoltre permesso di documentare numerosi trasferimenti di denaro tra Nazioni diverse; in particolare, alcune di queste transazioni, che avevano la caratteristica della ”non tracciabilità”, erano destinate a finanziare la ”tratta di esseri umani”. Il centro di finanziamento italiano è stato individuato a Milano, dove vivono numerosi appartenenti all’organizzazione. A svolgere questa attività, secondo i Carabinieri del Comando provinciale, era Moustafà El Badry Azat, egiziano di 56 anni, attraverso la gestione dell’esercizio commerciale phone center denominato ”Mar Rosso Di El Badry Azat Moustafa”, dal quale sono state ritirate, in più occasioni, somme di denaro destinato al finanziamento degli sbarchi clandestini. Questo sistema bancario, molto diffuso fra gli immigrati dalle coste africane, viene chiamato hawala e si avvale di una rete di mediatori detti hawala o hawaladars che provvedono a trasferire qualsiasi somma di denaro da uno Stato ad un altro, istantaneamente e senza alcun tracciamento. Il tutto avviene in modo molto semplice: il broker hawala chiama un suo omologo presente nella città del destinatario, da delle disposizioni sui fondi (di solito, sottraendo una piccola commissione), e promette di saldare il debito in una data successiva, basando le transazioni unicamente sull’onore.

Ecco tutti i nomi delle persone per le quali i Pubblici ministeri hanno chiesto al Gip, il rinvio a giudizio, tra cui 6 cittadini italiani e 27 egiziani:

  1. El Sayed Attia El Sobhy Zakaria, Egiziano del ‘70, residente a Milano;
  2. Mohamed Abdel R Ah Man Ismail El Sobhy, alias Elsobhy Mohamed , egiziano dell’85, residente a Milano;
  3. Mohamed Rabie Abel Aal Mohamed, egiziano dell’85, residente in Milano;
  4. Gharib Said Osman, egiziano del ‘58, residente a Milano in via Salomone Oreste nr. 28;
  5. Gharib Reda, egiziano dell‘87, residente in Milano;
  6. Gaber Aly Hammouda Ahmed egiziano dell’ 85, residente a Milano;
  7. Elghorab Ahmed Ahmed Moustafà, egiziano dell’84, domiciliato Sciacca;
  8. El Sayed Mohamed Tamer Gaafar, egiziano dell’ 84, residente in Palma di Montechiaro;
  9. Hassan El Bouhi, egiziano dell’ 84, residente Milano;
  10. Abdel Megied Elasar (detto Mimmo) egiziano del 53, residente a Milano;
  11. Morsi Mohamed Morsi Monir egiziano dell’ 81, residente Milano;
  12. El Badry Azat Moustafa egiziano del ‘59, residente in Milano;
  13. Mohamed Abdelghany Salem Sal egiziano del ‘73, residente a Milano;
  14. Elsayed Saad Mohamed Elsaka Ragab egiziano del ‘86 residente a Sciacca;
  15. Ahmed Mohamed Abourezk Maher egiziano del ‘88 residente in Sciacca;
  16. Conticello Domenico, di Sciacca del ‘42;
  17. Sclafani Alberto, dell’82 di Sciacca;
  18. Sabella Diego, di Sciacca del’34;
  19. Mauceri Filippo, dell’80 di Sciacca;
  20. Carlino Diego, di Palma di Montechiaro del’65;
  21. Ben Meftah Zied, tunisino dell’89, residente in Palma di Montechiaro;
  22. Machfar Achref, tunisino dell’86, residente a Santa Croce Camerina (RG);
  23. Radouan Farghali, egiziano del ‘93, residente in Palma di Montechiaro;
  24. Boubaker Ouanassi, tunisino del ‘67, residente in Santa Croce di Camerina (RG);
  25. Raadania Noureddine (Nourrdine), tunisino del’64, residente a Comiso (RG);
  26. Megri Hamdane Ben Alì, tunisino del’76, residente a Palma di Montechiaro;
  27. Mejri Khaled, tunisino del ‘78, residente in Palma di Montechiaro;
  28. Abouelazd Ahmad, egiziano del ‘77 (alias Aboueleyd Ahmed, alias Abouelaid Ahmed;
  29. Tropea Domenico, del’44 di Grotteria (RC);
  30. Muhamel Emad El Den, egiziano del ‘91, domiciliato a Roccella Ionica (RC);
  31. Nabil Dahhan Nabil Dahhan marocchino dell’82 residente a Canicattì;
  32. Saied Mohamed Khamis – nato in Egitto l’11.10.1986;
  33. Kassem Naser – egiziano del ‘72;

indagati tutti per essersi associati tra loro in una organizzazione transnazionale con altri soggetti giudicati separatamente ed altri ancora in corso di identificazione, al fine di commettere più reati contro la persona ed in particolare delitti di tratta di persone, di sequestro di persona a scopo di estorsione e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dal febbraio 2010 all’agosto 2012, in provincia di Agrigento, Ragusa, Messina, Catania, Reggio Calabria e Milano ed in territorio egiziano. L’impianto investigativo attuato ha avuto modo di documentare compiutamente le fasi relative ad alcuni sbarchi che sono avvenute lungo le coste siciliane e in quelle calabresi, come può agevolmente rilevarsi dai risultati conseguiti nel corso dalle operazioni svolte dalle forze di polizia nel periodo di riferimento, durante le quali sono stati arrestate 36 persone a fronte del rintraccio di oltre 300 migranti. Le indagini hanno dimostrato come questo gruppo criminale organizzato, abbia gestito una grossa parte del nuovo mercato delinquenziale, la cui genesi scaturisce dal continuo aumento di richiesta di emigrazione da parte di persone disperate che si danno alla fuga dai loro paesi per sottrarsi alla persecuzione o alla miseria, in conseguenza della persistente instabilità politica dell’area nord  e del Corno d’Africa.

Il significativo picco degli sbarchi di immigrati nella provincia di Agrigento e in quelle della Sicilia sud-orientale e della Calabria negli ultimi anni, ha favorito il radicarsi di tale organizzazione criminale internazionale che, seppur strutturata per livelli gerarchico-funzionali, seguiva un modello reticolare fluido, basato su piccole unità flessibili, senza rapporti gerarchici al loro interno e senza rapporti durevoli, capace di gestire le tre maggiori fasi proprie del “trafficking”: il reclutamento dei migranti nei paesi d’origine, il loro viaggio attraverso il Canale di Sicilia, il trasferimento verso l’Italia del centro-nord, come destinazione finale, con dinamiche complesse e modus operandi differente a seconda delle aree regionali interessate alla destinazione.

Le risultanze investigative hanno evidenziato come una prima fase preparatoria dei viaggi si svolgeva appunto in Egitto, dove gli intermediari dislocati nelle varie regioni di quella nazione procuravano le adesioni dei migranti, facendo da tramite con gli organizzatori.

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