PALERMO – Il clochard bruciato vivo, l’assassino: “Sono pentito”

Verrà interrogato questa mattina in carcere a Palermo Giuseppe Pecoraro, il benzinaio di 45 anni che ha confessato di avere bruciato vivo Marcello Cimino, il clochard che dormiva nel suo giaciglio sotto i portici della mensa di via Cappuccini.

L’uomo, già sabato sera, dopo l’arresto, parlando con gli uomini della Squadra mobile aveva detto di avere agito “in un momento di follia” mostrandosi pentito per quel gesto. “E’ stato un raptus, non lo rifarei. Mi pento”, aveva detto al termine dell’interrogatorio Giuseppe Pecoraro. Un pentimento arrivato solo dopo che gli uomini della Squadra mobile, guidati da Rodolfo Ruperti, gli hanno mostrato le immagini del video in cui si vede l’uomo che getta addosso la benzina al clochard. Pecoraro, durante l’interrogatorio, ha detto che con Cimino c’era un rapporto di conoscenza.

“Era venuto pure a casa mia, alla Zisa, a mangiare, qualche volta – ha detto Pecoraro, che è difeso dalle avvocate Carolina Varchi e Brigida Alaimo – Pure i miei genitori lo conoscevano”.

Ma la sera prima del delitto Pecoraro e Cimino sarebbero arrivati alle mani per gelosia. Perché il benzinaio temeva che Cimino gli insidiasse la donna con cui aveva una relazione. Intanto, l’avvocato Giuseppe Giamportone si è detto disponibile di assistere gratuitamente le figlie e la moglie di Cimino. L’inchiesta è coordinata dal Procuratore aggiunto Claudio Corselli e dai pm Maria Forti e Alfredo Gagliardi.

E ieri sera centinaia di persone hanno partecipato alla fiaccolata organizzata per ricordare Marcello Cimino, il clochard bruciato vivo venerdì notte mentre dormiva nel suo giaciglio sotto i portici della mensa di San Francesco in via Cipressi.

Prima della fiaccolata, le centinaia di persone presenti si sono radunate nella Chiesa dei Cappuccini dove padre Domenico Spatola ha voluto ricordare la figura di Marcello Cimino. Presenti la moglie, Iolanda, e le due figlie minorenni. Oltre al sindaco Leoluca Orlando, il vicesindaco Emilio Arcuri e diversi assessori, tra cui Giovanna Marano, Andrea Cusumano.

“Ci speravo che venisse tanta gente”, ha detto padre Spatola ai giornalisti – Penso che sia un segno di coscienza civica, collettiva dinnanzi a un fatto che ci ha letteralmente costernati, qualcosa di orripilante pensare di uccidere un uomo inerme, senza dargli la possibilità di una replica. E’ il senso del niente. Chi fa questo non ha niente nella mente, il vuoto”.

Arrivati sotto i portici, luogo dell’omicidio, c’è stato un lungo applauso al nome di Marcello, mentre le due figlie minori di Cimino hanno appeso una lettera aperta al padre: “Ciao vita mia del mio cuore – scrivono -Permettici l’ultima volta di salutarti. Non pensavamo che ci lasciassi così presto, non pensavamo che finisse così. Mi manchi da morire vita mia anche se ne abbiamo passate tante rimarrai il mio amico, vero amore, il mio uomo, il mio Re. Ti porteremo per sempre nel nostro cuore. Proteggici da lassù, ma soprattutto dacci la forza per andare avanti papà. Ti amiamo più di ogni altra cosa al mondo”.

Il sindaco Leoluca Orlando, che prima della fiaccolata ha a lungo parlato con i familiari di Marcello Cimino, ha ribadito che il Comune “si costituirà parte civile nel processo che ci sarà”.

Intanto stasera, alle 21, l’arcivescovo Corrado Lorefice parteciperà a un momento di raccoglimento nella chiesa dei Cappuccini., i funerali invece saranno celebrati oggi, alle 12, proprio mentre si terrà l’interrogatorio dell’assassino, nella Chiesa dell’Annunciazione del Signore, in via Verdinois, nella zona di Medaglie d’oro a Palermo.

La chiesa si trova nel quartiere in cui l’uomo aveva vissuto per molti anni con la ex moglie e le due figlie minorenni. Padre Cesare Rattoballi, che lo conosceva bene, dice che “Marcello Cimino era una persona tormentata ma buona. Molti qui abbiamo cercato di aiutarlo, senza riuscirci. Siamo addolorati per quello che è accaduto”.

Una vita quella di Marcello tormentata. Per esempio anche i nipoti hanno detto di non sapere che Marcello Cimino viveva per strada: “Nessuno di noi familiari sapeva che mio zio fosse un clochard, l’ho appreso da voi giornalisti. Se solo lo avessi saputo, la sera sarei venuto qui per costringerlo a venire con me a casa. Non ci aveva mai detto nulla. Siamo sconvolti” ha detto all’Adnkronos Vincenzo Calascibetta, figlio di una delle sorelle di Marcello Cimino. “Ogni tanto ci incontravamo, ma lo vedevo sempre pulito, con la barba fatta – racconta tra le lacrime – Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che dormisse all’aperto, sotto i portici della mensa dei cappuccini. Non lo immaginavamo”.

Ma Vincenzo, a differenza delle figlie della vittima, non chiede che l’assassino “faccia la stessa fine di Marcello”: “Ci deve pensare la giustizia – dice – Una fine del genere non si augura neppure a un animale, figuriamoci a un uomo. Io quando vedo sui social quei post in cui ci sono i cani che vengono maltrattati sto male, immaginiamo cosa possa provare per mio zio ucciso in quel modo. Il video è terribile. Ci deve pensare Dio a questo assassino. Mio zio era una persona buona – dice ancora Vincenzo Calascibetta – non meritava questa fine”.

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