SANTA CROCE CAMERINA – Loris, la madre e il mistero delle fascette consegnate alla maestra

Un mazzo di fascette consegnato alla maestra di suo figlio. «Ve le restituisco, sono quelle che servivano per le lezioni di scienze» ha detto Veronica all’insegnante. Ma a scuola i bambini non hanno mai lavorato con quelle strisce di plastica, né per le ore di scienze né per ricerche o compiti di altro genere. E la maestra, per quanto trovasse strano l’episodio, ha fatto finta di nulla, le ha prese e subito dopo le ha consegnate alla polizia.

È stato il giorno in cui è andata a casa di Veronica per le condoglianze e certo salta agli occhi, adesso, quell’informazione accanto al dato aggiornato dell’autopsia secondo il quale Loris non è morto, come si è creduto in un primo momento, strangolato con una sola mano che sembrava aver lasciato segni sul suo collo. Gli accertamenti eseguiti ieri da un nuovo medico legale dicono invece che l’«arma» del delitto potrebbe essere una fascetta da elettricista. Uno di quel lacci plastificati che una volta stretti non si possono più riaprire se non tagliandoli. Se questa versione fosse quella reale si spiegherebbe il segno verticale sul collo (una sorta di graffio) che si ipotizza sia stato lasciato da un paio di forbici. Non a caso fra i tanti oggetti sequestrati a casa di Veronica c’è anche un paio di forbici sulle quali si faranno accertamenti per studiare la compatibilità con i segni sul collo e per rintracciare eventuali residui biologici.

Di quest’ipotetica fascetta usata per strangolare Loris per ora non c’è traccia da nessuna parte, nemmeno nel mazzo consegnato da Veronica alla maestra. La madre del bambino continua a essere sospettata ma non indagata e mentre il suo avvocato, Francesco Villardita, ripete che «siamo tranquilli, lei ha portato il bimbo a scuola», in Procura incrociano dati e deposizioni e mettono a fuoco contraddizioni evidenti fra un verbale e l’altro. Racconti con discrepanze macroscopiche che è difficile leggere come il frutto di un momento di confusione.
Veronica viene sentita da polizia e carabinieri due volte: alle 20.30 di sabato 29 novembre, quattro ore dopo il ritrovamento di Loris nel fosso di Mulino Vecchio, e domenica 30, nel pomeriggio. «Come al solito – mette a verbale il 29 novembre – ho provveduto ad accompagnare mio figlio a scuola, ma siccome eravamo in ritardo e c’era traffico ho lasciato Loris a circa 500 metri dalla scuola». Il giorno dopo quei 500 metri si riducono: «Mi sono fermata a poche decine di metri dall’ingresso della scuola, dove ho fatto scendere Loris». Il quale però, secondo la ricostruzione degli inquirenti, non è mai salito in macchina con lei per andare a scuola.

Versioni diverse che sono accomunate da una sola deduzione: Veronica mente. E quel giorno ha fatto cose che chi indaga definisce «non logiche». Come rivolgersi ai vigili urbani invece che alle maestre quando ha realizzato che suo figlio non è uscito da scuola con gli altri bambini. Lei racconta quei minuti in due modi: prima dice che ha parlato con i compagni di classe e le maestre (cosa che non risulterebbe), poi le maestre scompaiono: «Dopo aver parcheggiato nei pressi della scuola mi reco al cancello… assalita dal panico ho cercato aiuto nei vigili urbani, ho chiamato mio suocero, ho chiesto ai bambini e poi ho chiamato il 112».

E poi c’è la storia del sacchetto dei rifiuti buttato via a un chilometro dal luogo del ritrovamento del bimbo e in un punto lontano da casa. Nel primo verbale lei non ne parla, nel secondo lo cita dicendo di averlo gettato dove ci sono dei cassonetti. Ma le immagini registrano lei che lo butta per strada. E poi perché così lontano? Quando glielo chiedono risponde con una versione ritenuta abbastanza inverosimile: dall’altra parte ci sono «i romeni che rubano i sacchetti».
Su un particolare gli inquirenti le credono: il fatto che Loris non volesse andare a scuola la mattina del giorno in cui è morto, perché questo spiegherebbe la discussione col piccolo, pare in parte registrata dalla telecamera vicina a casa. «Quel giorno Loris non voleva andare a scuola ma voleva venire con me» dice Veronica. «Mio figlio – spiega il 29 novembre – non andava volentieri a scuola perché diceva che lo prendevano in giro. Da una settimana era più nervoso del solito e aveva manifestato l’intenzione di non andarci più».

FONTE:

di Giusi Fasano Corriere.it

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