SERRADIFALCO – Miniere e tumori la macabra conta dei morti

di Mario Barresi – La Sicilia

Serradifalco. Un sessantenne occhialuto irrompe ansimante nel ufficio-bugigattolo: «Totò, viri ca ni mossi n’autra. Giovane, manco cinquant’anni. Tumore al colon. Domani mattina c’è il funerale, ci dobbiamo andare». Qualche interminabile secondo di silenzio, appena interrotto da un abbozzo di sospiro. E il destinatario della funerea notizia stacca, con gesto quasi meccanico, una costellazione di post-it nascosti dietro il monitor del pc. Ne estrae uno e aggiunge una crocetta accanto a decine di altre. Le conta e le riconta: «Siamo arrivati a 21». Poi tira fuori un altro pizzino e anche in questo aggiunge una croce: «E con questa sono 12». Il primo post-it è l’archivio delle persone decedute dall’inizio dell’anno; il secondo è il sottoinsieme di quelle che avevano tumori o leucemie. Quindi: nel 2013 finora 21 croci, di cui 12 per neoplasie; l’anno scorso furono rispettivamente 69 e 31. Il paese – Serradifalco, nel Nisseno – è piccolo, la gente mormora. E quando muore basta guardare le carte sui muri, per essere aggiornati. O magari un caffè con i becchini. «Sono diventato un frequentatore di funerali», si schernisce il geometra Totò Alaimo.

Il geometra Totò Alaimo in anni dis tudi e indagini sulle miniere di Serradifalco è diventato anche un pò epidemiologico e un pò detective tra dossier ed esposti presentati

Che qui – per tutti, nel bene e nel male – è una specie di Erin Brockovich dei sulfarara. Il geometra è diventato epidemiologo e detective, fra studi, dossier ed esposti. «Lo faccio per la memoria di tutti quelli che non ci sono più e per il futuro di chi resta qui». Dove la paura trasuda dalle viscere della terra, ondeggia nell’aria limpida dei boschi, scorre nei laghi e dei torrenti.

«Più morti di cancro che a Gela»
Ma perché quasi una croce su due è dovuta ai tumori? Al di là delle statistiche da cimitero di paese, sono alcuni dati del “Registro Tumori di Ragusa e Caltanissetta” a togliere il sonno a questa gente. Negli 11 comuni del Vallone si muore di tumori molto più che a Gela. Sui 3.788 nuovi casi registrati nel triennio 2007/09, il numero più sconvolgente riguarda gli uomini, nel rapporto tra casi osservati e casi attesi: rispetto a Ragusa (in linea con la media nazionale) l’eccesso di rischio di sviluppare un tumore è del 12% in più a Gela e del 43% nel Vallone; più contenuta la forbice fra le donne. Il rischio di tumori ematologici: se a Gela c’è un comunque preoccupante +42%, nel Vallone il dato schizza al 108%.
«A questi elementi si aggiungono 31 casi di tumori infantili, che rappresentano il 58% in più rispetto all’atteso, secondo il Registro», ricorda Rosetta Anzalone, presidente del Tribunale del malato di San Cataldo e portavoce di 35 associazioni del Nisseno. Anzalone ricorda anche «le migliaia di malati di sclerosi multipla oltre che il picco impressionante di bambini autistici». E Alaimo aggiunge che «nel rapporto non sono nemmeno stati interrogati i medici di famiglia, e con 700mila euro di fondi non si è andati alla radice del problema e cioè “lo studio connesso alle cause tumorali”».

Le radiazioni del mostro di sale
E quando si parla di nesso causa-effetto gli sguardi sono tutti puntati lì, sul “mostro di sale” a sei chilometri da Serradifalco. Bosco Palo, all’origine miniera di zolfo prima che si scoprisse la kainite. Nel 1956 divenne uno stabilimento industriale che alla fine degli anni 60 dava lavoro a 600 persone (indotto escluso) con tre pozzi e un milione di tonnellate annue di produzione. Fino al 1973 di proprietà della “Montecatini”, la concessione del complesso minerario passò poi all’Ispea Spa, con capitali pubblici. L’attività durò fino al 29 luglio 1988.

Il villaggio dei minatori nella zona del giacimento di bosco

Eppure i “fantasmi” di Bosco Palo aleggiano ancora. Il primo punto è la pericolosità “naturale” del sito: «La montagna di sale – spiega il geologo Angelo La Rosa – da oltre un trentennio è sorgente di danni alla salute e all’ambiente di vaste proporzioni per la presenza dell’isotopo radioattivo K40 e per la salificazione delle acque superficiali, con un rischio di desertificazione per i terreni». La concentrazione di potassio in grandi volumi, spiega Calogero La China, specialista di Radiodiagnostica e medicina nucleare, «è una fonte di radioattività naturale del K40 che viene generato con l’esposizione ai raggi solari e si propaga a distanza di chilometri viaggiando nell’aria. Ciò costituisce possibile causa di mutazioni nel Dna, oltre che di malattie autoimmuni croniche, neurodegenerative e tumorali». È come se gli abitanti di Serradifalco (e non solo) si fossero infilati dentro una radiografia lunga trent’anni.

I residui e le analisi dell’Arpa
Alla radioattività indotta dalla natura potrebbe essersi aggiunta quella – ancor più devastante – provocata dall’uomo. Innanzitutto per i residui di lavorazione: «Le stesse società presumibilmente sono responsabili per la pregressa attività mineraria», si legge nel documento di Programma-Accordo redatto nel 1988 dalla Regione. «Nel 1999 i tecnici dell’Enea – ricorda La Rosa – rilevano una serie di criticità nell’area mineraria, compresa la subsidenza dell’intero sito Bosco».
Si ritenne necessario eseguire un monitoraggio con strumenti di precisione, ma soltanto nel 2006 avvenne il primo sopralluogo dell’Arpa nel sito di Bosco. Il risultato fu rassicurante, perché i dati fuori norma erano «verosimilmente attribuibili all’isotopo radioattivo naturale del potassio». Ma seguiva una precisazione: «I valori si devono intendere come puramente indicativi» poiché le radiazioni erano «al di fuori dell’intervallo d’utilizzo dello strumento» e lo stesso «non permette di identificare gli emettitori della radiazione ionizzante prodotta». I tecnici non fecero alcuna misurazione nel sito di Palo, perché «non ritenuta necessaria». Una seconda campagna di misurazione è avvenuta nel 2012. Riscontrando uno sforamento della Csc (Concentrazione della soglia di contaminazione) relativa al boro nei campioni delle acque di Bosco, «che farebbe supporre – sostiene Alaimo – la presenza di scarichi di industrie metalliche e farmaceutiche». I dati complessivi furono rassicuranti «L’assenza di radioattività nell’area superficiale del sito minerario – si legge nella relazione finale – pur essendo un dato rassicurante per la popolazione residente nei suoi pressi, non ci fornisce alcuna certezza riguardo la presenza o assenza di eventuali materiali radioattivi che qualcuno presume siano stati depositati all’interno della miniera».

Il traffico dei rifiuti speciali
E quest’ultimo passaggio apre l’ultimo “file” della cartella sui misteri di Bosco Palo. L’ipotesi che il sito di Bosco Palo sia una delle “pattumiere” di scorie radioattive, business miliardario dell’ecomafia. In effetti ci fu anche un’ipotesi “ufficiale” di utilizzo di Serradifalco per lo stoccaggio dei rifiuti nucleari: «Nel 2003 la Sogin presentò uno studio per individuare un deposito nazionale per i rifiuti – ricorda il geologo La Rosa – e vennero analizzati 45 bacini saliferi italiani, di cui 36 in Sicilia, compreso Bosco-Palo, che fu escluso per mancati requisiti di isolamento dei rifiuti». L’unico bacino idoneo risultò Scanzano Jonico, ma «se la miniera di Serradifalco è stata utilizzata lo stesso come deposito di scorie nucleari – sbotta l’esperto – è stato commesso un atto criminoso di vaste proporzioni, avendo trasformato un sito geomorfologicamente non idoneo in una bomba ecologica».

laghetti nei quali sarebbero stati versati fusti di materiale tossico
E a questo punto Totò Alaimo diventa un pozzo senza fondo. Di notizie, corredate da esposti, testimonianze, documenti consegnati ai magistrati. E quasi si commuove, quando racconta di Gaetano Butera, morto qualche settimana fa di tumore: «Un diligente e coraggioso vigile urbano di Serradifalco che sventò un traffico illecito per lo stoccaggio e forse anche lo smaltimento di rifiuti pericolosi, speciali e radioattivi, provenienti da fuori della Sicilia». Butera, impegnato nei lavori della sua villetta di campagna, aveva notato un viavai strano di Tir che si fermavano al bivio fra le Provinciali 40 e 37, all’imbocco della strada per la miniera Bosco. Dal camion scaricavano «scatole e cartoni, che andavano dentro piccoli furgoni», e una mattina il solerte vigile indossò la divisa e fermò un autista polacco, che gli mostrò un’autorizzazione (scaduta) per il trasporto, ma non per lo scarico, di rifiuti ospedalieri. La pista dell’autista dell’est portò in un casolare poco distante: «Accertai che c’erano rifiuti – raccontò il vigile – posizionati nel terreno retrostante, da dove si godeva di un’ampia veduta panoramica delle miniere». Butera fece la sua bella relazione di servizio e il suo comandante passò le carte ai carabinieri. Ma subito dopo il terreno («venduto assieme al casolare da un minatore per 50 milioni di lire all’epoca in cui un appartamento in paese ne costava 30», ricorda Alaimo) venne liberato dai rifiuti. Ma non dalle carte, «fatture, bolle di trasporto di materiale nocivo e pericoloso di varia provenienza», che nel marzo 2012 Alaimo rinvenne nel casolare accompagnando Rosario Cardella e Saul Caia autori di un’inchiesta per RaiNews. «Ho consegnato tutte le carte all’autorità giudiziaria», dice Alaimo mostrandoci un verbale infinito di documenti dal 1990 almeno fino al 1995, e quindi anche dopo la storia del vigile urbano.

S’è rotto il muro del silenzio
E un residuo di quei documenti si trova ancora lì, nel casolare dei misteri. Li abbiamo trovati dentro il forno, alcuni in parte bruciati e nel salone diroccato. Rifiuti ospedalieri speciali, con bolle che ne certificano la provenienza ma non la destinazione. Dove sono stati depositati? Chi può provare che non siano finiti nelle miniere? Ci sono altri casi nascosti?


Negli ultimi tempi, lo studio di Alaimo è stato meta di pellegrinaggio di altri potenziali testimoni. Raccontano di centinaia di «fusti strani» depositati in laghetti artificiali e poi mischiati all’olio di sansa per coprire il tanfo. Altri episodi, altri racconti. Tutti finiti sul tavolo della magistratura. «Cosa si sta aspettando – si chiede Alaimo – per intervenire in maniera risolutiva a tutela dei cittadini di un territorio che per tanti anni è stato succube di intrecci fra mafia, politica e affari? Certi traffici – sentenzia – non si sarebbero potuti realizzare senza coperture ad altissimo livello». Restiamo un altro po’. Affacciandoci dalla collina, fissiamo il “mostro di sale”, sovrastato dall’ex villaggio degli operai e dalla funivia segata. Il silenzio è meraviglioso. Tanto da farci paura.
twitter: @MarioBarresi

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