URUGUAY – ‘Ndrangheta, arrestato il boss della cocaina Rocco Morabito, ‘u Tamunga. La sua vita d’oro tra i locali milanesi

A differenza del protagonista di «C’era una volta in America», Francisco Capeleto in tutti questi anni «a letto presto» non deve esserci andato praticamente mai. Per due motivi: il primo è perché mai dal 1994, data nella quale s’è reso latitante, Capeleto alias il boss della droga Rocco Morabito, 51 anni, di Africo (RC), ha mai smesso di occuparsi della sua attività principale, ossia trafficare cocaina tra Sudamerica e Italia, attività molto redditizia ma altrettanto rischiosa soprattutto per chi è inserito nell’elenco del 30 latitanti di pericolosi. Il secondo è un motivo ben più «volubile», perché questo narcos della ‘ndrangheta – imparentato con il boss Peppe Morabito ‘u tiradrittu – ha in realtà poco a che vedere con la tradizione che vuole i latitanti calabresi nascosti negli ovili sulle montagne dell’Aspromonte.

Rocco Morabito, soprannominato ‘u Tamunga scimmiottando il nome del vecchio fuoristrada militare tedesco Dkw Munga, è infatti un boss atipico. Anzitutto perché chi traffica droga, e lo fa per conto delle «famiglie» stando direttamente in Sudamerica, di solito non è tenuto alla vita «monastica» dei boss pecorai delle montagne. Ma in particolare perché Morabito è arrivato a Milano quando aveva meno di 25 anni e ha vissuto gli anni d’oro di Milano, tra locali e night. Dal Biffi di piazzale Baracca, fino ai lounge bar di piazza Diaz. Gli investigatori della squadra Mobile di Milano e il pm Laura Barbaini che gli hanno dato la caccia nell’indagine Fortaleza per la quale ha rimediato la condanna a 30 anni di carcere per narcotraffico, lo raccontano come un uomo sempre elegante, nonostante quelle sopracciglia foltissime e il forte accento di Africo.

Rocco Morabito, soprannominato ‘u Tamunga scimmiottando il nome del vecchio fuoristrada militare tedesco Dkw Munga, è infatti un boss atipico. Anzitutto perché chi traffica droga, e lo fa per conto delle «famiglie» stando direttamente in Sudamerica, di solito non è tenuto alla vita «monastica» dei boss pecorai delle montagne. Ma in particolare perché Morabito è arrivato a Milano quando aveva meno di 25 anni e ha vissuto gli anni d’oro di Milano, tra locali e night. Dal Biffi di piazzale Baracca, fino ai lounge bar di piazza Diaz. Gli investigatori della squadra Mobile di Milano e il pm Laura Barbaini che gli hanno dato la caccia nell’indagine Fortaleza per la quale ha rimediato la condanna a 30 anni di carcere per narcotraffico, lo raccontano come un uomo sempre elegante, nonostante quelle sopracciglia foltissime e il forte accento di Africo.

Sabato, quando lo hanno fermato in un hotel del centro di Montevideo con lui c’era anche la compagna Paula Maria De Olivera Correia, 54 anni, nata in Angola ma di passaporto portoghese. Lui aveva documenti brasiliani a nome Francisco Capeleto, residente a Punta del Este, e con quel passaporto era riuscito ad ottenere una carta d’identità uruguaiana. Viveva lì almeno da una decina d’anni, dicono gli inquirenti, e decisiva per arrivare a catturarlo è stata l’attività d’indagine dei segugi del comando provinciale dei carabinieri di Reggio Calabria, oltre alla collaborazione con l’ufficiale di collegamento in Uruguay. Tamunga aveva una pistola, oltre a due auto, 13 cellulari, e una dozzina di carte di credito. Segno inequivocabile che non aveva mai interrotto la sua attività di booker della droga. Una risorsa fondamentale per le famiglie africote che – come tutto il resto della ‘ndrangheta – continuano ad ottenere almeno l’85% della loro ricchezza dal narcotraffico. Soprattutto a Milano, città nella quale la ‘ndrangheta continua ad avere un ferreo controllo del mercato della cocaina, seppure non in monopolio.

Per l’Anagrafe, Rocco Morabito (nato il 13 ottobre ‘66, figlio di Domenico Morbito e Carmela Modaffari) risulta ancora residente a Milano al 18 di via Bordighera. Anche se, di fatto, ha sempre abitato a Casarile, al confine con la provincia di Pavia. Ora la villetta a schiera di via Carlo Alberto Dalla Chiesa, 37 è confiscata ed è diventata la sede della biblioteca comunale. Così come è sotto sequestro la sua villa, costruita da pochi anni, nel paese natale di Africo. Tre piani e un giardino oggi incolto e abbandonato. Un bunker realizzato al piano terra, sfruttando un sottoscala, e una vasca idromassaggio racchiusa tra un colonnato in stile Scarface con vista sul mare. Immobile che oggi è abitato soltanto da piccioni ed è stato depredato di tutto (marmi, piastrelle, sanitari, porte, mobilia, cavi elettrici) in attesa che lo Stato se ne occupi, ma che ancora svetta sulla costa calabrese a testimonianza del potere dei soldi, della cocaina, della ‘ndrangheta.

FONTE. CORRIERE.IT

Condividi
         
 
   

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *