Vogliono far chiudere le TV LOCALI, domani manifestazione a Roma. Studio 98 è presente

I posti di lavoro e il pane delle famiglie non si toccano. I sacrifici di tanti imprenditori insieme ai loro dipendenti no possono essere cancellati con un colpo di spugna . Qui sono in gioco i sacrifici di 40 anni in un settore che da sempre, quotidianamente, ha richiesto sforzi non indifferenti. Noi di Studio 98, insieme ai colleghi di Tva e Agrigento Tv ci siamo e non molleremo cosi facilmente.

Il 10 giugno 2021 avrà luogo a Roma una grande manifestazione delle Radiotelevisioni Europee Associate (REA) ovvero delle emittenti locali, assieme al sindacato che le rappresenta, LibersindConfsal.
Il processo di restringimento del numero delle emittenti locali radiofoniche e televisive procede a ritmo serrato e le radio libere locali che, al momento della loro nascita erano più di 5000 si sono ridotte a un migliaio, ma minacciano di scomparire, assorbite dalle grandi reti nazionali. La stessa cosa vale per le emittenti televisive che oggi sono circa 350, ma che in gran parte hanno aderito alla proposta di “rottamazione” governativa, per incassare il contributo, salvo poi cercare un successivo modo di ripresa.
L’emergenza Covid ha esasperato la crisi che già si trascinava da tempo della sopravvivenza delle piccole emittenti locali, comprese quelle comunitarie, alle quali non sono arrivati sostegni economici di alcun tipo, dirottati su un centinaio di grandi emittenti che vantano ascolti discutibili e da dimostrare, oltre che personale precario, spesso con scarsa professionalità. Difficile non riferirsi ai “colletti bianchi”, cioè alla fitta rete di inviati e corrispondenti, con i loro sofisticatissimi mezzi, che studiano, impostano e danno in pasto notizie e immagini secondo uno schema del far giornalismo ispirato a metodi americaneggianti, puntualizzato sulla notizia-scandalo o sull’evento del giorno, rispetto al quale poi impostare talk show e discussioni da salotto. Le linee guida, in parte superate, ma che continuano a sopravvivere per l’incapacità di andare oltre la banalità, confezionano servizi studiati per occupare spazio o per soddisfare le richieste del “direttore”, domande con risposte scontate, clichet obbligatori che prevedono l’intervista al parente, al sindaco, al parroco, al compagno di scuola, al vicino di casa, all’esperto o presunto tale. Un velo pietoso va steso sulle interviste a calciatori e ad allenatori prima e dopo la partita: parole scontate e banali, tanto per dare aria ai polmoni.
Il numero delle pubblicità, unica fonte d’introito economico, si è notevolmente ridotto, a causa della disdetta di contratti di aziende in crisi, ma anche le attrezzature disponibili sono diventate obsolete, con l’avanzare di nuove tecnologie. Gran parte degli ascolti sono stati risucchiati dalle grandi emittenti nazionali o regionali cioè alle realtà riconosciute dal DPR 146/17. alle quali sono andati i cinquanta milioni di euro e andranno gli altri venti stanziati dal governo. Si stima che il numero di radio libere in attività si aggiri tra le 1000 e le 1700, delle quali circa 1200 sono in una condizione prefallimentare, e che queste occupano circa 5000 lavoratori, muovendo un giro economico di circa due miliardi di euro di pubblicità.
Secondo Antonio Diomede, Presidente REA – Radiotelevisioni Europee Associate, aderente a Federlavoro, “entro giugno 2022 verrà completato il processo di conversione del digitale terrestre a tecnologia DVB-T2, ma molte delle realtà da noi rappresentate, già fiaccate dal Covid, non avranno dal Ministero frequenze e canali per operare una migrazione definitiva alla nuova tecnologia digitale. Per i superstiti caleranno gli ascolti (linfa vitale per le emittenti) perché si valuta che circa 45 milioni di televisori non saranno abilitati al nuovo standard T2 e, nonostante il pannicello caldo del bonus per i decoder stanziato dal Governo, qualche milione di famiglie non avrà le risorse per acquistare un nuovo televisore o si limiterà a cambiare un apparecchio sui 2/3 presenti in casa. Questo inciderà nuovamente sul destino del nostro comparto”.
Il ridimensionamento e la presumibile scomparsa nel tempo delle voci informative locali con un minimo di professionalità ne comporta il dirottamento su blog, facebook, whatsapp e altre applicazioni da cellulare, dove l’opinabilità si integra con la modificazione e lo storpiamento della notizia, oltre che con le fake new. La notizia che parte dal basso, proviene dal basso ed ha come naturale contorno lo studio e la descrizione delle cause entro cui essa è nata ed è stata proposta, è il tassello di un mosaico su cui l’informazione locale si spoglia della retorica e delle sovrapposizioni ideologiche o moralistiche da cui è rivestita da coloro che assumono su di sé il ruolo di informatori e formatori (per intenderci alla Mentana) e si propone nella sua semplicità più vicina alla comunicazione che alla trasmissione. Più a monte, la concentrazione delle testate significa la cancellazione dell’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di pensiero, e dell’articolo 41 sulla libertà d’impresa con l’obiettivo di controllare dal vertice un’informazione strutturata e integrata, che richiama le fabbriche del consenso pilotato, già sperimentate in passato e bene individuate nelle linee guida naziste di Goebbels, rianalizzate e rivisitate dagli studi di Chomsky.
Si chiede al governo, a parte l’immediato sostegno economico, il riassetto complessivo del settore radiotelevisivo e la possibilità di contratti di lavoro sostenibili per i giornalisti spesso costretti al precariato a vita o al volontariato senza nessuna possibilità di stabilità all’orizzonte.
Intanto, a partire dall’anno prossimo, si progetta inoltre una divisione per aree regionali, la cui concessione è o sarà affidata alle grandi emittenti nazionali, secondo una spartizione a tavolino, o alle grosse reti regionali, le quali poi potranno subappaltare la concessione alle piccole emittenti, dietro il pagamento di tariffe salatissime: si parla di 10 mila euro al mese per concessioni regionali e di tariffe più ridotte, in rapporto alla copertura della zona d’ascolto. Il tentativo è sempre quello, da parte di chi detiene il potere di informare, di arrivare al controllo totale dell’informazione e di chiudere le voci di dissenso e di informazione alternativa rispetto a tutto quello che succede sul territorio e sulle aree minori. Si va verso la realizzazione del pensiero unico, rispetto al quale la sopravvivenza di verità non ufficiali rischia di essere affidata alla pirateria di pochi coraggiosi che dispongono di qualche mezzo. E’ necessario pertanto lottare per garantire il pluralismo informativo, con la precisa coscienza che bisogna costruire radio e televisioni della “nuova Resistenza”, così come lo furono La prima Radio libera Italiana, voluta da Danilo Dolci nel 1970 a Partinico e, sei anni dopo, Radio Aut, di Peppino Impastato e dei suoi compagni.
E proprio a Partinico ancora resiste, ma con grandi difficoltà, una delle poche emittenti comunitarie libere della Sicilia, Telejato. Le vicende giudiziarie che hanno coinvolto la redazione, esponendola alla vendetta di una parte della magistratura, della quale sono state denunciate le distorsioni, impongono anche una riforma della legge sulla diffamazione a mezzo stampa, che spesso si accanisce sui giornalisti non protetti dalle grandi testate, esponendoli al pagamento di cifre esorbitanti e costringendoli a mortificanti forme di autocensura.

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