No ai domiciliari, Totò Riina resta al 41 bis all’ospedale di Parma

Salvatore Riina resta in carcere. Il tribunale di sorveglianza di Bologna ha rigettato la richiesta di differimento pena o, in subordine, di detenzione domiciliare presentata dai legali del  boss corleonese. I giudici hanno riunito due procedimenti, decidendoli insieme. Riina quindi resta detenuto al 41bis nel reparto riservato ai carcerati dell’ospedale di Parma. Alla  richiesta dei legali, motivata da ragioni di salute del boss, si è opposto il pg di Bologna Ignazio De Francisci.

«Totò Riina rimane in ospedale ma è una ordinanza ampiamente ricorribile, e come tale sarà oggetto di ricorso», ha detto subito dopo la decisione del Tribunale il legale di Toto Riina, avvocato Luca Cianfaroni.

Secondo il Tribunale di sorveglianza di Bologna  a Totò Riina, «soggetto affetto da plurime patologie, alcune delle quali tipicamente connesse all’età avanzata», vengono «non solo somministrate cure e terapie di altissimo livello con estrema tempestività di intervento, ma anche, e soprattutto, prestata assistenza di tipo geriatrico con cadenza quotidiana ed estrema attenzione e rispetto della sua volontà, al pari di qualsiasi altra persona che versi in analoghe condizioni fisiche».

Nella loro decisione i giudici, affrontando il tema delle condizioni del boss e il diritto a morire dignitosamente, citato dalla Cassazione, spiegano che deve intendersi come «il diritto a morire in condizioni di rispettabilità e decoro»: la complessiva situazione di Riina non solo non viola tale diritto, ma, per i giudici, non costituisce neppure «una prova di intensità superiore all’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione», come indicato da una sentenza Cedu.

In un passaggio cruciale dell’ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Bologna, i giudici scrivono  che Salvatore Riina appare «ancora in grado di intervenire nelle logiche di Cosa Nostra», nonostante le sue condizioni di salute e l’età ormai avanzata e «va quindi ritenuta l’attualità della sua pericolosità sociale».

«La lucidità palesata» da Riina e «la tipologia dei delitti commessi in passato (di cui è stato spesso il mandante e non l’esecutore materiale) – proseguono i giudici – fanno sì che non si possa ritenere che le condizioni di salute complessivamente considerate, anche congiuntamente all’età, siano tali da ridurre del tutto il pericolo che lo stesso possa commettere ulteriori gravi delitti (anche della stessa indole di quelli per cui è stato condannato)».

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