AGRIGENTO – Le riflessioni di Mons. Franco Montenegro durante il venerdi santo

Signore, non ti nascondo che ho qualche difficoltà a ri­volgerti la parola. Siamo in un periodo particolare della vita della città, tra qualche settimana, infatti, si andrà a votare. Stasera, se dovessi parlare con te delle cose della mia città, rischio di essere frain­teso ed accusato di schieramento e di essere uomo di parte. So che c’è chi è attento e cu­rioso di ascoltare quanto dirò per poter tirare le sue conclusioni a riguardo. Ma – e tu lo sai – il mio inte­resse di Ve­scovo non è di collocarmi da una parte o dall’altra, semmai, se da una parte devo stare, – e di questo sono convinto – so di do­ver stare dalla parte della gente. Laddove si cerca il vero bene di tutti io sto sempre da quella parte, qualunque sia lo schieramento che decide. Tradirei Il mio ministero di Vescovo se non aiutassi tutti a volere il bene di questa città. Per evitare equi­voci, perciò, e perché possa restare Tu il protagoni­sta e non io, per la buona pace di chi ha interessi par­ticolari, ti chiedo di illuminare tutti noi cittadini per­ché com­piamo il nostro dovere di elettori con obiettività e re­sponsabi­lità. E di illuminare quanti saranno chiamati ad ammini­strare questa città perché, al di là degli schieramenti, cerchino sempre, davvero e ad ogni costo, il bene comune e, poiché di frantumazione e di fram­mentazione ce n’è tanta, trovino unità di azione in modo che la sto­ria di Agrigento continui ad essere esemplare per il mondo, come lo è stata nell’ antichità, e tutti possiamo guardare al futuro di questa città e del territorio tutto con fidu­ciosa spe­ranza.

Ti abbiamo contemplato, tremante e spaventato, in questo Ve­nerdì Santo nell’orto degli Ulivi, luogo in cui hai vissuto un mo­mento altamente drammatico della tua vita. Il Getsemani segna per Te l’ora decisiva (cf Mc 14,41) in cui il tuo mandato terreno si com­pie e la lotta si fa intensa. Nella tua croce, Gesù, esplode l’ora della violenza del potere delle tene­bre, senza nessuna esclusione di colpi (cf Rm 3,21-26), tuttavia, è nell’orto che si decide la par­tita.

Anche per noi questo è tempo di crisi, soprattutto di fede e di valori e non solo economica, finanziaria e ad Agrigento, orfana della sua Cattedrale ancora sigillata come una tomba, perfino strutturale. Sono d’accordo con chi afferma che la crisi in fondo è dovuta al fatto che va au­mentando la distanza tra noi uomini e Te. Oggi Tu stai diventando un ri­cordo sempre più sbiadito, così che si pensa che possiamo fare a meno di Te, tanto è vero che non si tiene più in debito conto la Tua Pa­rola, con il risultato che vanno aumentando la disonestà, la violenza, il sopruso, l’inganno, i compromessi, le minacce. Sono tali atteggiamenti a minare le relazioni umane, a farle scadere, a far venir meno la necessaria solida­rietà, a privilegiare l’individualismo e l’interesse personale, a tra­sformare i rapporti umani, come in una corrida, dove a soccom­bere sono gli onesti e i deboli. È proprio vero che, quando Ti met­tiamo da parte, Signore, noi uomini non riusciamo ad intenderci più tra noi.

Tu sai le statistiche scandalose che denunciano che i 10 italiani più ricchi posseggono insieme quanto i 3 milioni di italiani più po­veri. Sì, è vero, hai detto che i poveri li avremo sem­pre con noi (cf Mt 26,11), ma questo non significa che pos­siamo giocare a rim­piattino scaricandoli ora agli enti comunali di assistenza, ora alle mense della solidarietà, ora alla Caritas. C’è tante povertà, anche tra noi, ma noi a furia di chiuderci nei nostri egoismi e di guar­darci con diffidenza, abbiamo fatto saltare la solidarietà, condi­zione necessaria per una vita buona. Facci convincere che non possiamo costruire ci­viltà cacciando o voltando le spalle ai poveri. Costoro sono tra noi e sono nostri, e non sono delegabili ad al­cuno, né sono anelli terminali di ipocrite politiche assistenziali. No! Tu, Signore, ci ricordi che insieme, come accade in una fami­glia in cui è presente un membro in difficoltà, dobbiamo trovare possibili risposte e tener conto di loro nelle scelte che si fanno. Lo deve fare chi occupa posti istituzionali, lo devono fare le comu­nità parrocchiali se vogliono testimoniare il Vangelo, lo devono fare i singoli, cristiani o uomini non credenti che siano. Non ci può essere salvezza senza i po­veri, come non ci può essere civiltà, come non ci può essere supera­mento della crisi senza tener conto di loro. Per i credenti, loro sono come un sacramento della presenza di Dio tra gli uomini. Ci aiutano a scoprire che la tua croce, Signore, è sem­pre piantata là dove ci sono le croci degli uomini.

Lasciati confidare, Signore, che spesso ci sentiamo un po’ come Te nell’orto degli ulivi: soli, abbandonati e tante volte traditi nelle nostre giustificate attese. Dimmi: non condividi anche Tu il legit­timo desiderio di molti di desiderare un lavoro che dia dignità, che sia giustamente retribuito, senza frodi e ri­catti, e soprattutto che sia qui, senza dover emigrare a Bergamo o a New York? Desi­derare di beneficiare di un’assistenza sanitaria che sia capace di prendersi davvero cura del malato? Di avere un credito legale dalle banche senza ve­nire legalmente strozzati? Di essere serviti da una burocrazia agile ed amica, che non intrappoli nelle pastoie e nei cavilli che spesso la rivelano nemica della partecipazione e affossatrice di democrazia … Eppure, Signore, è anche vero che mentre esigiamo dagli altri ciò che è legittimo, spesso anche noi veniamo meno ai doveri di giustizia, di attenzione alle cose di tutti, di puntualità al lavoro, allo studio, parliamo più di diritti che di doveri … Sai, Signore, dicono per esempio che nel territorio agrigentino, si assiste ad un triste fenomeno: che “a fronte di un no­tevole aumento di reati contro il patrimonio, nello 2011 nes­suna persona ha fatto ricorso alla denuncia per collaborare con le forze dell’ordine e la procura della Repub­blica”. Probabilmente dobbiamo convincerci che il mondo cambierà, se sarà prima il no­stro cuore a cambiare.

La storia che hai vissuto nell’orto degli ulivi dove fosti fatto pri­gioniero perché uno dei tuoi intimi ti aveva venduto per trenta monete d’argento (Mt 26, 15;27,3), oggi continua qui da noi, e non solo da noi, nella pratica dell’usura che oltre che mettere il cappio alla libertà di molti riducendoli in schiavitù, è una sorta di  compra-vendita di fratelli. E che dire dei danneggiamenti deri­vanti dal racket delle estorsioni … Forse che non sono anche que­ste cause di paralisi del territorio e della sua decre­scita infelice? Però Tu ti meravigli che preferiamo chiudere gli occhi, e tacere e subire, mentre Tu non hai accondisceso agli Erode e ai Pilato di turno e ci hai dimostrato qual è la via della verità. Aiutaci a percorrerla.

C’è crisi, è vero, ma, Signore, come si spiega l’aumento dello spaccio di so­stanze stupefacenti, del consumo di alcool, del dif­fondersi delle diverse forme di gioco, comprese quelle d’azzardo. Non lascia perplessi tanta disponibilità di denaro nelle mani di adolescenti e giovani? Non è che gli adulti sconsideratamente prima li foraggiano e poi li criticano? Se rimproveriamo ai ragazzi di essere privi di valori, non ti pare che è responsabilità di noi adulti?

Nel nostro territorio anche per futili motivi la mano di Caino con­tinua ad armarsi ed alzarsi contro Abele. È da restare sgomenti e in­creduli davanti al fatto che Calogero Giardina, un giovane di appena 24 anni di Canicattì, è stato ammazzato da un mino­renne con un cacciavite per una ragazza contesa. Che Calogero Mustac­chia, trentenne saccense è stato ridotto al coma perché basto­nato con una mazza da baseball, solo per essersi lamentato del volume troppo alto proveniente da un locale. E che a Menfi, un  ventitreenne, solo perché ha osato sorpassare con la sua auto, quasi fosse un affronto, uno scooter con tre giovani a bordo, senza casco e che procedevano zigzagando, è stato preso duramente a pugni riportando varie fratture.. Questa inaudita violenza che scuote le coscienze e mortifica l’umanità, mi pare l’indice eloquente di una società che rinuncia alla vita e sceglie la morte. Di una so­cietà che ha scelto di impo­verirsi, perché ha ormai in scarsa considera­zione il valore più consistente: l’uomo e la donna. “Questo popolo – disse proprio ad Agrigento, Giovanni Paolo II – è un popolo che ama la vita, che dà la vita. Non può vivere sem­pre sotto la pres­sione di una civiltà con­traria, di una civiltà della morte.  […] Vi sia concordia in questa vostra terra. Una concor­dia senza morti, senza assassinati, senza paure, senza minacce, senza vittime” (Omelia del 9 maggio 1993).

 

Eppure, Signore, proprio dal Getsemani e dalla tua scelta di ren­dere visibile l’amore laddove c’è ingiuria e dolore, ci in­segni che la crisi è anche altro, deve essere altro. La crisi è come la notte, ma “nessuna notte è così lunga da impedire al sole di risorgere”, è come il venerdì santo che vede subito dopo spuntare la Pasqua. Tu ci chiedi che facciamo diventare la crisi tempo di opportu­nità, occa­sione favorevole. Per noi che leggiamo la storia, – la nostra storia – come storia di Dio e degli uomini, essa può generare “nuovi stili di vita”, può farci diventare più umani e fraterni, può essere un segno per la conversione al Regno di Dio e alla sua giustizia (cf Mt 6,33), per decidere finalmente insieme per il bene comune. Aprici gli occhi e il cuore, dacci il coraggio di scegliere il bene, facci scrollare di dosso quel terribile e vile senso di indifferenza, che ci fa dire: se vuoi cambiare le cose, lasciale come sono.

 

Signore, mi fermo, ti chiedo di leggere nel mio cuore e nel cuore di tutti. Ti chiedo, come gli apostoli, di insegnarci a pregare. Sento già la tua risposta, che ci invita a restare connessi con Te e con il tuo Spirito, e ad abbandonarci fiduciosi nelle mani amore­voli del Padre, come hai fatto Tu nell’orto degli ulivi. Per questo, assieme a questa mia gente, la tua e la mia bella famiglia, pen­sando a questa città e al territorio della Provincia, prego dicendo: Padre no­stro …

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