Arrestati i figli dell’autista del boss Matteo Messina Denaro, indagati per favoreggiamento

Lo hanno aiutato a traslocare e facevano da staffetta per garantire la sicurezza degli spostamenti durante la sua latitanza. Arrestati altri due favoreggiatori del boss Matteo Messina Denaro, catturato a Palermo il 16 gennaio dell’anno scorso e morto il 25 settembre in ospedale all’Aquila, dov’era recluso. I carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Trapani e i poliziotti del Servizio centrale operativo hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico dei fratelli Antonino e Vincenzo Luppino, di 30 e 35 anni, indagati per favoreggiamento e procurata inosservanza di pena, aggravati dall’avere avvantaggiato Cosa nostra. 

Sono i figli di Giovanni Salvatore Luppino, l’autista del padrino di Castelvetrano con il quale è stato arrestato in una clinica del capoluogo siciliano, attualmente detenuto e sottoposto al giudizio abbreviato davanti al Gup di Palermo che deve decidere sulla richiesta di condanna a 14 anni e 4 mesi. 

La “condotta dei Luppino ha in concreto agevolato l’associazione mafiosa operante nella provincia di Trapani, avendo consentito a Matteo Messina Denaro non soltanto di mantenere la sua latitanza ma, nel contempo, mediante la sua presenza nel territorio, di continuare ad esercitare il ruolo direttivo dell’organizzazione mafiosa”. Si legge nell’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Palermo, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, da cui emerge anche “l’affidabilissimo compito di ausilio al proprio padre” dei due arrestati. 

L’attività nell’ambito delle indagini finalizzate a ricostruire la rete di fiancheggiatori che ha sostenuto l’allora latitante, ha, infatti, permesso di raccogliere elementi investigativi che conducono a ipotizzare che i due indagati abbiano contribuito al mantenimento delle funzioni di vertice del capomafia castelvetranese, non solo dandogli assistenza, ma anche partecipando al riservato sistema di comunicazioni attivato in suo favore. 

Nell’inchiesta sono finite le analisi dei tabulati telefonici e le immagini delle telecamere di sorveglianza, ma anche “evidenze scientifiche genetiche e papillari”, in cui si documenta l’impegno dei Luppino che, al pari dei Bonafede, erano a disposizione del boss ed erano parte integrante della sua rete di fiancheggiatori nella provincia di Trapani. 

Secondo l’accusa, avrebbero fornito a Messina Denaro “un aiuto prezioso” dal 2018 fino al suo arresto, per muoversi e spostarsi nel territorio in cui il capo negli ultimi periodi ha vissuto. I due fratelli vivevano a pochi passi dall’ultimo covo dell’ex primula rossa. Antonino Luppino conosceva i numeri di telefono di Messina Denaro, mentre il fratello Vincenzo ha anche accudito il padrino dopo l’operazione per il cancro subita alla clinica La Maddalena dove il ricercato era in cura per un cancro.

Insieme con il padre Giovanni si sono occupati anche dei lavori di ristrutturazione della casa scelta come “nuovo covo dal latitante”. Vincenzo, inoltre, “custodiva la cucina componibile che Messina Denaro” aveva fatto montare nel covo di vicolo San Giovanni “adiacente” alla casa dei Luppino” e per la quale “aveva dato disposizione di non trasportarla nel covo di vicolo San Vito”.

Dalle indagini è risultato pure che nei mesi immediatamente precedenti la cattura, Luppino padre aveva chiesto soldi agli imprenditori della zona di Campobello di Mazara – paese dell’ultimo covo del boss – per “contribuire al finanziamento della sua latitanza”. Richiesta di soldi fatta anche “minacciosamente”.

Nel corso dell’operazione denominata “Il Tramonto” sono scattate anche perquisizioni nella provincia di Trapani, con il supporto di personale dello Squadrone eliportato Cacciatori Sicilia dell’Arma dei carabinieri e dei Reparti Prevenzione Crimine della polizia di Stato.

Condividi
         
 
   

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *