SICILIA – le mani di Matteo Messina Denaro sulla sanità

Le mani della mafia sulla sanità siciliana. Ma l’inchiesta-choc della Procura di Palermo non tocca soltanto gli ingranaggi della cinghia di trasmissione fra il diritto alla salute dei siciliani e la fame di business di Cosa Nostra. C’è un doppio salto di qualità investigativo, stavolta. Il primo riguarda la caratura dei personaggi coinvolti nella rete di interessi affaristico-mafiosi: c’è l’ombra di Matteo Messina Denaro, l’imprendibile nuovo “capo dei capi”, in una vicenda giudiziaria che sta per esplodere, con decine di persone coinvolte  fra imprenditori, professionisti e funzionari pubblici. Il secondo aspetto – il più spregevole – è che questa macchina “mangiasoldi”, oltre che con pressioni criminali e corruzione, si alimenta succhiando l’anima a cittadini fra i più deboli e disagiati: gli emodializzati, sottoposti a cure lunghe e talmente invasive da ridurre al minimo il diritto a una vita normale.
Un sistema che non guarda in faccia nessuno. In particolare la rete delle cliniche private che prestano servizio agli emodializzati, alcune delle quali gestite da prestanomi e persone vicinissime a Matteo ‘u signurinu. In Sicilia le strutture accreditate sono 88. E si dividono un budget di 110 milioni l’anno di fondi pubblici. Ebbene, la Procura di Palermo ha passato allo scanner anche le pagine più nascoste di questo redditizio settore. Ed è «in una fase avanzata», confermano fonti giudiziarie, un’indagine coordinata dal procuratore aggiunto Leonardo Agueci, in strettissimo contatto col procuratore capo Francesco Messineo e con in prima linea la Dia e il Nucleo investigativo dei carabinieri, su un delicatissimo crinale fra associazione mafiosa, truffa ai danni del sistema sanitario nazionale e svariati corollari – dal falso in atto pubblico alla corruzione – che chiamano in causa imprenditori del settore sanitario, professionisti e funzionari regionali.
I faldoni dell’iter di iscrizione alla rete nefrologica privata, ma soprattutto passaggi di proprietà con tanto di atti notarili. Un meccanismo da manuale per riciclare il denaro sporco, acquistando la proprietà di cliniche private già accreditate e dunque destinatarie delle risorse pubbliche che l’assessorato regionale alla Salute destina alle cliniche per i servizi ambulatoriali ai circa 5mila emodializzati siciliani. Messina Denaro, attraverso persone fidate, si trova già dentro. Con una tecnica puramente imprenditoriale: l’acquisto dell’intera proprietà delle cliniche, o di una quota tanto sostanziosa da averne il controllo di fatto.
Un’operazione di mercato che sarebbe legale, se non nascondesse una serie di irregolarità assortite.  Nessuno, pare  verifica, che i controlli di secondo livello previsti per legge – a partire dalla certificazione antimafia – il pedigree di legalità di aziende o singoli imprenditori che di fatto sono soggetti diversi rispetto a chi aveva ottenuto l’accreditamento alla Regione.
Ed è proprio su questo passaggio che aleggia il fantasma di Messina Denaro e dei suoi “compari”, nei casi più gravi riscontrati dalla Procura. Da indiscrezioni trapelate dal Palazzo di giustizia palermitano pare addirittura che nella black list dei “signori della dialisi” ci sia pure un omonimo del capo di Cosa Nostra, non è dato sapere se addirittura un congiunto. È il particolare simbolico, la punta di un iceberg che nasconde una fittissima rete di complicità. Sia sulle potenziali infiltrazioni mafiose, sia sugli illeciti amministrativi il filo conduttore è il rapporto di “amicizia” negli uffici-chiave della Regione. Non a caso gli inquirenti hanno sentito l’assessore regionale alla Salute, Lucia Borsellino, che s’è messa subito a disposizione per far luce su eventuali distorsioni all’interno del Dipartimento.

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