MAFIA – Il procuratore nazionale Roberti «Presto cattureremo Messina Denaro»

Il 41 bis non è un mezzo per indurre i mafiosi, con metodi forti, a collaborare, si è dimostrato uno strumento efficiente, decisivo nella lotta alla criminalità organizzata, e per questo, anche se si possono rivedere alcune sue specifiche applicazioni, non va indebolito. Perché se «i Casalesi non esistono più e sono stati sconfitti dallo Stato», se Cosa nostra è stata colpita nei suoi organi vitali e «tutti i capi delle organizzazioni mafiose sono stati assicurati alla giustizia, salvo uno, Matteo Messina Denaro, che verrà presto catturato», questo è merito anche del cosiddetto carcere duro.
Un istituto nato per recidere i contatti tra il detenuto e l’organizzazione di appartenenza. È questo l’indirizzo dettato dal procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che è stato ascoltato dalla commissione diritti umani del Senato.
Attualmente, in base ai dati riferiti dallo stesso Roberti, i soggetti in 41bis sono 717, tutti affiliati alle mafie, tranne tre che sono invece terroristi: tra questi, l’unica donna in 41bis: Liana Desdemona Lioce, delle nuove Br. La commissione presieduta dal senatore Luigi Manconi sta effettuando una serie di audizioni per raccogliere dati e informazioni tecniche sul carcere duro e al termine presenterà una relazione. Ci sono alcuni aspetti che, secondo Manconi, andrebbero rivisti: le modalità dei colloqui con i familiari e soprattutto con i minori; i criteri applicati alle telefonate che i familiari possono effettuare ai propri congiunti in carcere, che potrebbero ammorbidirsi, mantenendo la comunicazione sotto controllo con i sistemi oggi a disposizione; quelli delle telefonate con i legali.
Tutti punti su cui si può riflettere, conferma Roberti, che anzi auspica un pronunciamento delle Sezioni unite della Cassazione capace di dare un’interpretazione univoca a tali questioni, e anche a un altro nodo: quello delle proroghe e delle revoche. Un iter che coinvolge anche la Procura nazionale antimafia, che fornisce le sue valutazioni. Il nodo della questione riguarda la necessità di dimostrare l’attualità del collegamento tra detenuto e organizzazione esterna per disporre – dopo 4 anni la prima volta e dopo 2 successivamente – la proroga del 41bis. «Se la misura funziona – osserva il procuratore – non ci sono i collegamenti; ma se vengono meno i presupposti per il 41bis, il collegamento può riprendere». È necessario, quindi, stabilire confini più certi, definire «una linea giurisprudenziale uniforme» per orientare le decisioni, che spettano al ministro della Giustizia e al tribunale di sorveglianza di Roma.
Ma bisogna anche fare attenzione – è il monito implicito nelle parole di Roberti – a non non aprire falle pericolose nel 41bis, il cui «scopo è di prevenzione e che in 22 anni di applicazione si è rilevato estremamente efficace, perché ha bloccato il fenomeno a cui si assisteva negli anni ‘80 quando il carcere era il luogo di aggregazione e di affiliazione dei soggetti alle organizzazioni criminali. La nuova camorra di Cutolo – avverte Roberti – si costituì in carcere».

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