MAFIA – “Non era donna boss”, l’assoluzione di Anna Messina diventa definitiva

Non contribuì al rafforzamento di Cosa Nostra ma fu semplice fiancheggiatrice del fratello, avendo agito “in una condizione di non punibilità” visto che la legge non prevede il reato di favoreggiamento fra “prossimi congiunti”. La procura generale, che aveva insistito in udienza al processo di appello bis con il magistrato Emanuele Ravaglioli che aveva chiesto la condanna a 6 anni, fa scadere il termine e rinuncia a impugnare la sentenza di assoluzione emessa dai giudici della sesta Corte di appello di Palermo lo scorso 11 ottobre.

Il verdetto, che scagiona la trentanovenne sorella del boss Gerlandino, accusata di concorso esterno in associazione mafiosa, da ieri, è diventato definitivo. L’inchiesta a suo carico era scattata dopo il ritrovamento di numerosi pizzini nell’ultimo covo del fratello, prima numero 2 e poi numero uno di Cosa Nostra agrigentina, catturato a Favara dopo quasi 12 anni di latitanza.

La Corte presieduta dal giudice Roberto Murgia aveva emesso la sentenza sette ore dopo essersi ritirata in camera di consiglio per valutare la posizione della donna che, dopo l’arresto e la condanna in primo grado e in appello (rispettivamente sei anni e cinque anni), era tornata libera perché la Cassazione aveva messo in dubbio il suo ruolo di “concorrente esterna” dell’organizzazione mafiosa ordinando un nuovo processo. Le sentenze di primo e secondo grado, secondo i giudici della Cassazione che avevano accolto gran parte dei motivi del ricorso del difensore, l’avvocato Salvatore Pennica, non avevano chiarito se Anna Messina avesse svolto, per conto del fratello Gerlandino, il ruolo di “corriere” dei pizzini in maniera abituale o episodica. In ogni caso – avevano sottolineato ritenendo il punto decisivo – il concorso esterno si concretizza “se le informazioni sono provenienti da altri associati o persone che svolgono attività utili al conseguimento degli scopi dell’associazione mafiosa”.

 

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