PALERMO – Le cosche si riorganizzano. Blitz dei carabinieri con 62 ordinanze

I carabinieri di Palermo hanno eseguito 62 misure cautelari emesse dal gip nei confronti di persone accusate di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento, ricettazione, favoreggiamento e reati in materia di armi aggravati dal metodo mafioso. Sequestrati attività commerciali, imprese e beni immobili ritenuti frutto di illecito arricchimento.

In particolare sotto sequestro sono finiti terreni e locali commerciali della famiglia mafiosa dei Pullarà, l’impresa Di Marco Marmi di Francesco Di Marco, in cui si sarebbero svolti summit di mafia, quote della Bingo.it proprietaria di una sala bingo riconducibile alla famiglia Adelfio, quote della Erregi srl e l’impresa individuale Lombardo Giuseppina, riconducibile ai Pullarà. Inoltre, sono state sequestrate quattro imprese edili del valore di 600 mila euro.

L’operazione azzera di fatto due clan palermitani. Il blitz nasce da due diverse indagini, coordinate dalla Dda di Palermo e sviluppate dal Ros e dal gruppo carabinieri di Monreale, sui ‘mandamenti’ di Villagrazia-Santa Maria di Gesù e San Giuseppe Jato.

Le attività investigative hanno permesso di ricostruire l’organigramma dei clan, i nuovi vertici e i rapporti con i boss dei mandamenti vicini. L’inchiesta, inoltre, svela numerosi episodi di estorsione, intimidazioni e danneggiamenti.

A reggere le fila erano due anziani, il 77enne Mario Marchese e l’81enne Gregorio Agrigento, entrambi arrestati. A loro si rivolgevano imprenditori e commercianti quando trovavano l’attak nei lucchetti o la tanica di benzina dietro la saracinesca.

Marchese era un fedelissimo di Stefano Bontate; poi durante la guerra di mafia tradì, come altri, e passò ai vincenti di Riina e Provenzano. Il premio fu lo scettro del comando. Gregorio Agrigento, fratello di un boss ergastolano, è invece il rappresentante di una storica famiglia mafiosa della provincia (quella di San Cipirello) che da sempre è legata ai boss Brusca di San Giuseppe Jato. Agrigento, secondo gli inquirenti, sarebbe diventato il capo mandamento. Marchese era tornato in libertà nel 2001. Al primo maxi processo era stato condannato in appello a 16 anni, ne aveva scontati 12 grazie a una serie di riduzioni di pena.

Tra gli arrestati c’è anche il direttore di Sala del teatro Massimo di Palermo Alfredo Giordano, accusato di associazione mafiosa. La figlia di Giordano, Laura, è soprano del Teatro Massimo. A Giordano i pm contestano di fare parte dello storico clan di Santa Maria di Gesù. Il dipendente del Massimo sarebbe intervenuto nelle dinamiche interne del mandamento partecipando a incontri e riunioni con altri affiliati, fornendo supporto a latitanti, facendosi portatore presso l’organizzazione criminale delle richiesta di sostegno di candidati alle elezioni.

Non sapendo di essere intercettato, Giordano parla con un altro uomo d’onore, Gaetano Di Marco, di microspie degli investigatori. E si lamenta che l’ex moglie, con cui aveva assistito in passato diversi latitanti, minacci di denunciarlo se lui non le darà un aumento dell’assegno di mantenimento. “Dopo 27 anni che è stata con me e che veniva nei latitanti”, dice riferendosi, tra l’altro, al ricercato Carmelo Zanca. “Siamo andati dieci anni a mangiare… ad assicutare… a Melo… dov’era… era… per i latitanti”, racconta.

Poi al figlio dello storico boss Ignazio Pullarà rivela: “Due sere prima che arrestavano a tuo padre… ci siamo mangiati sgombri e champagne!”. Giordano ammette, dunque, candidamente le sue responsabilità: “Trent’anni che combatto coi latitanti ed estorsioni”. Per i pm è la prova, si legge nella misura cautelare – “del suo perdurante e attuale inserimento era poi chiaramente dimostrato dalla frequentazione con gli altri uomini d’onore cui si sentiva intimamente accomunato”. “Tu sei mio fratello – dice – Tanino è mio fratello… io sono nelle vostre mani…”.

Il sovrintendente del Teatro Massimo, Francesco Giambrone, d’intesa con il sindaco-presidente Leoluca Orlando, ha sospeso Giordano. “La Fondazione che – come gli inquirenti hanno chiarito – è completamente estranea all’inchiesta, si costituirà parte civile nell’eventuale giudizio”, si legge in una nota.

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